Chissà quale musica ascolta Donald Trump la mattina. Forse Wagner, come Woody Allen nel film Misterioso omicidio a Manhattan a cui veniva voglia di invadere la Polonia, ma quella era comicità. Tornato alla Casa Bianca da 24 giorni, a Trump sono venuti diversi impulsi giocando a Risiko e lanciando in aria il mappamondo.

Non ha escluso di conquistare “manu militari” la Groenlandia, aggiungere la stella del Canada alla bandiera degli Stati Uniti, occupare il canale di Panama, cambiare nome al Golfo del Messico, rimettere Cuba nel novero dei Paesi canaglia, sanzionare il Sudafrica per una legge che a suo avviso discriminerebbe i bianchi.

E poi sulle guerre: prendersi la Striscia di Gaza, espellendo i palestinesi e trasformandola in un’exclave americana, una sorta di Costa Azzurra del Medio Oriente; aggiudicarsi le terre rare dell’Ucraina come risarcimento per i denari in armamenti spesi dal suo predecessore Joe Biden. La quale Ucraina, almeno sinora, non sarebbe nemmeno ammessa ai colloqui per una pace che si annuncia ingiusta, imposta da un confronto diretto Trump-Putin, in una riedizione farsesca di Yalta.

Carro armato Donald

In un mondo almeno un pochino più giusto, era ieri, si sarebbe invocato l’intervento degli infermieri con la camicia di forza, i manicomi sono pieni di gente che vorrebbe aggiustare il mondo, qui si somma l’universo con l’annunciato dominio via Elon Musk dei satelliti e lo sbarco su Marte. Il presidente eletto, forte dello scudo di essere stato scelto dal popolo, avanza come un carrarmato schiacciando la democrazia, il diritto internazionale, i lacci e lacciuoli che limitano un potere proprio perché non diventi abnorme. E questo nel sostanziale silenzio, anzi con il favore, dei reggicoda plaudenti che minimizzano proponendo una narrazione edulcorata e parallela.

Una corsa a godere della benevolenza dell’imperatore in cui si distingue il governo italiano principalmente attraverso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo vice Matteo Salvini. La tesi propalata è che in fondo Donald si sa com’è, non va preso troppo sul serio, alza la posta per poi trattare, da buon commerciante, da uomo d’affari. Come se le istituzioni fossero un suk e il prezzo si stabilisce per contrattazione.

Come, soprattutto, se le parole, il mezzo con cui definiamo le cose, avessero perso completamente di significato. Anche se fioriscono sulle labbra dell’uomo più potente del mondo che per l’etica di questa responsabilità dovrebbe vigilare sul linguaggio.

L’espediente di assolverlo per qualunque enormità pronunci è il segno del precipitare della credibilità della politica, dove l’alleanza fedele è il tratto distintivo e non trova cittadinanza nessun distinguo, nessuna critica. Fino all’autolesionismo di restare muti davanti alle iniziative del comandante in capo anche se controproducenti per il proprio Paese. Prendiamo l’Italia. I dazi certo non favoriranno l’export in un momento di crollo della produzione industriale, ma Palazzo Chigi resta muto, nemmeno un borbottìo di malumore.

Se Trump impone sanzioni alla Corte penale internazionale (la cui istituzione è stata peraltro firmata a Roma), noi non firmiamo una lettera di censura come hanno fatto i maggiori Paesi del Continente nel timore di rimbrotti del sovrano (o tiranno?) Trump. Se il dialogo con il Cremlino sull’Ucraina esclude totalmente l’Europa nonostante sia la più diretta interessata a una soluzione e abbia pagato in proprio per difendere Kiev, il silenzio regna sovrano nella terra del sovranismo. E si potrebbe continuare…

Nella giungla-mondo

Un tempo valeva l’assioma per cui i repubblicani americani sono per tradizione isolazionisti, poco interessati ai destini del pianeta e più interessati al loro ombelico. Ammesso che Trump sia repubblicano e c’è da dubitarne (anche se sono gli elettori di quel partito che lo votano), ecco che il “Make America Great Again” si fonda sulle spalle degli abitanti di altri Paesi nemici e alleati non importa purché paghino, i dazi, i costi maggiori della Nato, i rimborsi per quanto l’America ha speso per loro nel passato, dimenticando che ne ricavava tuttavia un rendiconto di vassallaggio strategico.

Trump sembra aver sposato, e mutato in peggio, la teoria dei neocon consiglieri di George Bush figlio, peri quali (Roberto Kagan anzitutto), gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere, gli americani sono il leone che deve governare la giungla-mondo.

Ma allora era l’inizio del nuovo millennio, erano previsti dei contrappesi alla superpotenza, non era contemplato l’assolutismo gradasso nell’esercizio del ruolo, né l’annientamento delle organizzazioni sovranazionali, fossero l’Onu ridotto a macchietta, l’Oms da cui gli Usa sono usciti (e Salvini li vorrebbe seguire), il trattato di Parigi sul clima che gli stessi Usa disconoscono.

Nemmeno il più estremista dei neocon si sarebbe spinto a invocare l’esistenza di due occidenti, l’America e l’Europa, ormai divisi da interessi divergenti a causa della sufficienza (eufemismo) con cui veniamo trattati dalla nuova amministrazione di Washington.

Nessuna intermediazione

La postura dittatoriale di Trump non si riverbera solo oltre i confini. Quando non si occupa di altri continenti, è preso dalla bulimia della firma di ordini esecutivi che, senza nessuna intermediazione, stanno piegando a suo piacimento la struttura statuale oltre che il volto del Paese. L’ultimo, di ieri, l’obbligo per gli ambasciatori di seguire pedissequamente la sua linea in politica estera.

In precedenza aveva reso più facile il licenziamento dei dipendenti pubblici; deciso il taglio di duemila miliardi di spese superflue del governo e consegnato il dipartimento per l’Efficienza a Elon Musk; ordinato lo smantellamento dei programmi federali per la promozione di diversità, equità e inclusione e ribadito che gli Usa riconoscono solo due sessi, il maschile e il femminile; limitato la possibilità di abortire; graziato i responsabili dell’attacco a Capitol Hill; dichiarato l’emergenza energetica e l’emergenza al confine sud, quello con il Messico, un fronte della battaglia contro gli immigrati di cui è stata espressione l’ignobile foto diffusa dalla Casa Bianca di un gruppo di espulsi in manette.

Con Trump e i suoi accoliti si è consacrata l’era dei plutocrati al potere. Governo di pochi tiranni, non certo governo nei migliori.