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di Massimo Franco
Più che un arcipelago centrista deciso a coalizzarsi in nome del Terzo Polo e dell’Ue, ha l’aria di un grumo di nomenklature politiche che cercano un seggio. Ognuno aspira a allearsi con un frammento che gli garantisca la speranza di raggiungere la soglia necessaria per entrare al Parlamento europeo. E già questo dice quanto sia forzata e segnata dal trasformismo la cosiddetta «area centrale». In una gara di furbizia, partiti che ristagnano sotto il 4 per cento si comportano come cuculi: uccelli che usano i nidi altrui per stare al sicuro. I nidi sono le liste elettorali. Ci si aggrega a quella di un altro, usandola per ottenere i consensi che permettano la sopravvivenza. L’aspetto più sconcertante è che alle Europee si vota con il sistema proporzionale. Non c’é bisogno di aderire a uno schieramento per evitare di essere schiacciati. Eppure, proprio in questa occasione si sta rivelando tutto il fiato corto di chi teorizza spazi sterminati per i «moderati» ma ne riempie solo una frazione; e non per responsabilità altrui. Le trattative tra Emma Bonino, Matteo Renzi, Clemente Mastella, Totò Cuffaro sembravano avere solidificato un «cartello», se non compatto, formalmente unito. Il tentativo di Bonino di creare una coalizione in nome dell’europeismo avrebbe una logica. E la leader radicale sostiene che esisterebbe grande compattezza. Ma stanno emergendo tutti i limiti dell’operazione. Spuntano veti e recriminazioni. Non si capisce quanto l’unità sia davvero in grado di reggere. La narrativa che dovrebbe giustificare la convergenza di storie diverse mostra la corda. La «porta lasciata aperta» a Carlo Calenda, il leader di Azione che ha deciso di non far parte dell’operazione, scottato dalla vecchia alleanza con Renzi, conferma e accentua la frantumazione di un’area che rimane divisa dai protagonismi. Ma non perché non esista un elettorato moderato in attesa di un’offerta politica convincente, e quindi rassegnato votare controvoglia altre forze, o a astenersi. Il problema sono proprio i personaggi e i partiti che pretendono di rappresentarlo; e che quel pezzo di opinione pubblica politicamente apolide sembra considerare poco credibili. La litigiosità e i protagonismi sono lo specchio di questa acrobazia politica; e del tentativo inconfessabile di strappare un proprio seggio a spese dell’alleato occasionale. Nelle condizioni che ognuno ritiene di dettare, si riflette una piccola rendita di posizione da far pesare nella trattativa. Si parla di «alleanza di scopo». E lo scopo è una manciata di parlamentari, in bilico nonostante il richiamo altisonante agli Stati Uniti d’Europa o alla Dc: etichette che rischiano di essere sgualcite dal piccolo cabotaggio di chi se n’è appropriato.