segue dalla primaIl centrosinistra funziona meglio ed è più credibile quando seleziona così la sua classe dirigente, come invece non è accaduto in Liguria, nonostante il Pd avesse fatto scendere in campo un ex ministro come Andrea Orlando. E questa regola della “prossimità” o della “concretezza” vale a dispetto dell’identikit del candidato, dato che in Umbria la scelta è caduta su una civica di estrazione cattolica, mentre sopra il Rubicone si presentava un perfetto figlio del partito, uno che candidamente ieri ha dichiarato di “sognare fin da bambino di fare il presidente dell’Emilia-Romagna”.
L’altro segnale, ancora più importante a livello politico, arriva dai territori fino a Roma. Ed è un avviso al governo e a Giorgia Meloni, che era arrivata quasi a sfidare l’elettorato nel comizio di chiusura della campagna elettorale a Perugia: “La mia resistenza non ha limiti. C’è un limite solo per noi e siete voi, il consenso dei cittadini. Noi non resteremo al governo della nazione contro il parere dei cittadini”. Quei cittadini ieri hanno urlato forte e chiaro quale sia il loro “parere” sul centrodestra, a dispetto di chi (come il plenipotenziario di FdI, Galeazzo Bignami) diceva di voler “liberare” l’Emilia-Romagna. È il gioco di tutti i sovranisti, che si proclamano l’unica e vera espressione del popolo, dagli Usa all’Europa. Ma quando il popolo volta loro le spalle, non sanno più cosa dire. Oppure si rifugiano nell’insulto agli elettori, vedi il leghista Simone Pillon, che fa apparire come automi agli ordini di Schlein gli umbri e gli emiliani che “vanno sempre a votare, e obbediscono sempre agli ordini del partito, ingoiando qualsiasi candidato”.
Il voto è un segnale per chi si ritiene da due anni l’unico interprete della volontà popolare e, su questa base, pensadi poter imporre a colpi di maggioranza riforme come il premierato e l’autonomia differenziata invise all’altra metà del Paese. Il consenso fluttua, persino quello a Fratelli d’Italia, finiti in Umbria sotto il 20 per cento. E i risultati di ieri sono la prima, concreta, dimostrazione che il centrodestra non è impossibile da battere, che non è vero che l’Italia si è irrimediabilmente spostata a destra. È quello che vogliono farci credere ogni giorno, ma i numeri dicono altro e sono più forti delle rumorose campagne sui social. Nelle zone alluvionate dell’Emilia-Romagna il centrosinistra sopravanza la destra e, considerando tutta la regione, il partito democratico da solo è più forte dell’intera coalizione pro-Ugolini. A dispetto di chi sperava cinicamente nella rabbia degli alluvionati per scalzare il centrosinistra.
Il consenso fluttua tra le coalizioni, ma anche al loro interno. E c’è da fare qualche riflessione sullo stato di salute del partito democratico, dato spesso al tramonto ma sempre più architrave di qualsiasi formula di alternativa. I voti di ieri sono addirittura sorprendenti, con i dem sopra il 42 per cento in Emilia-Romagna e sopra il 30 cento in Umbria. Sono numeri che ricordano la veltroniana “vocazione maggioritaria”. Persino troppo alti per un partito che vuole essere “testardamente unitario”, come dice Schlein, e che finisce per fagocitare i suoi alleati, ridotti a cespugli. Una considerazione che vale soprattutto per i Cinque stelle, finiti sotto il 5 per cento.
Alla vigilia della costituente M5s della prossima settimana, Giuseppe Conte sarà più o meno invogliato a intrupparsi in una coalizione dove finisce per essere così lontano dalla prima fila? Un quesito non banale, anche considerando che il prossimo anno di andrà a votare in altre cinque regioni.