Boris, il lord e la spia russa
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di Massimo Franco
La sensazione è che il governo si stia distraendo sempre più dalle cose che contano davvero per l’Italia. La polemica con la magistratura; quella sull’autonomia regionale differenziata voluta dalla Lega; le gaffe e le difese d’ufficio di ministri e sottosegretari indagati e in bilico; le tensioni latenti tra alleati nella prospettiva delle Europee che sono lontane ancora undici mesi; perfino i veleni sui vitalizi degli ex parlamentari e su un’inchiesta che riguarda il figlio del presidente del Senato. Si tratta di un quadro a dir poco confuso, dal quale sembra siano stati espunti temporaneamente i problemi dei fondi europei per il Piano per la ripresa. Non si parla nemmeno più, se non con polemiche retrospettive sui governi precedenti, dei ritardi dei progetti da presentare a Bruxelles. È come se gran parte delle energie fossero spese per combattere in un recinto angusto e circolare, con uno sguardo rivolto più al passato che al futuro. E in questo panorama stralunato cresce il distacco, quasi la sconnessione tra la premier Giorgia Meloni e le vicende nelle quali sono coinvolti esponenti del suo esecutivo. Meloni rimane attivissima sul piano internazionale, ma quasi silente su quello interno: frenata dall’imbarazzo per quanto le accade intorno, con i ministri risucchiati nelle beghe domestiche. Per il momento le conseguenze di questo paradosso appaiono relative: nel senso che non intaccano i consensi conquistati nelle Politiche del settembre scorso, e confermati alle recenti Comunali. A aiutare l’esecutivo è inoltre un’opposizione ridotta a nebulosa litigiosa: con il Pd diviso sulla leadership della segretaria Elly Schlein; i Cinque Stelle zavorrati dai vecchi cavalli di battaglia; e il Terzo polo sempre sul punto di esplodere nei litigi tra Calenda e Renzi. Ma alla lunga le tensioni a destra possono diventare un elemento di reale logoramento. La stessa voglia di resa dei conti con una magistratura, che la scomparsa di Silvio Berlusconi avrebbe dovuto archiviare, sopravvive a destra come un’onda tossica. E impedisce di analizzare con freddezza decenni nei quali berlusconismo e giustizialismo in realtà si sono alimentati e legittimati a vicenda, impedendo qualsiasi reale riforma. Il fatto che la giustizia sia percepita come il detonatore della conflittualità anche adesso non solo sa di «già visto». Conferma la regressione e l’artificiosità di uno scontro che non riesce a guardare al futuro. E rimane così imprigionato in vecchi schemi: al punto da scambiare l’apertura di un’inchiesta annunciata con un complotto antigovernativo in incubazione. Se non di debolezza, le reazioni sono segni di nervosismo di una coalizione tentata di scaricare all’esterno difficoltà fisiologiche. Né basta che le opposizioni assecondino questo schema, dimostrandosi a loro volta nostalgiche di un’altra era. Prima o poi, le questioni vere riaffioreranno. E pretenderanno le soluzioni che in queste settimane sono state ritardate o eluse.