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6 Aprile 2023Accoglienza e nuove cittadinanze: sfide del nostro tempo
6 Aprile 2023Prospettive urbane
La ‘normalità’ di Siena: analogie e divergenze con i sistemi urbani contemporanei
Arch. Riccardo Roda
Nuove dinamiche e trasformazioni possibili per Siena
Prof. Livio Sacchi
Città, identità e progettualità
Prof. Franco Purini
Tradizione, innovazione e identità
modera
Pierluigi Piccini
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Arch. Francesco Santioli
La ‘normalità’ di Siena: analogie e divergenze con i sistemi urbani contemporanei
Per qualsiasi argomento di difficile interpretazione come quello della città, si dovrebbe procedere ad una sua definizione, l’oggetto di queste brevi note: che cos’è una città e la sua essenza cioè l’architettura?
In tal senso tutti i tentativi conducono ad una conclusione (o semplicemente considerazione finale) parziale, incompleta, settoriale e comunque sempre declinata nella direzione strumentale alla disciplina prevalente con cui viene affrontato il problema. Partendo dall’ambito della sociologia urbana, Claude Lévi-Strauss parla della cosa più straordinaria realizzata dall’uomo; Guido Martinotti, pur negando la volontà di ricercare una codificazione afferma che ‘è indubbiamente il prodotto e la sede delle espressioni più avanzate della civilizzazione umana, a allo stesso tempo viene temuta e odiata come ambiente artificiale e corruttore dell’umanità. E’ il manufatto protettivo più importante contro le avversità della natura, per gli esseri umani che la abitano, ma viene anche descritta come l’ambiente più malsano in cui vivere’. La storia rintraccia invece percorsi concettuali e metodologici differenti ma spesso analoghi, solo per citare uno tra i più attinenti, Henri Pirenne nel suo Les Villes du Moyen Age cita un proverbio tedesco medioevale: ‘L’aria delle città rende liberi’ (Die Stadtluft macht frei), la città medioevale quindi nasce per un chiaro obbiettivo progressista oltre che protettivo. Relativamente all’architettura, Aldo Rossi concepiva la città come ‘la scena fissa della vita dell’uomo’. Tra gli innumerevoli tentativi quelli a mio avviso più riusciti, malgrado non si configurino entrambi come definizioni vere e proprie, ma che possono essere ritenuti strumentali per qualunque tipo di approccio all’architettura e in misura ancora maggiore all’urbanistica, sono ciò che affermavano sia Mies van de Rhoe che Luigi Piccinato: Il primo con la frase ‘L’architettura è la volontà di un’epoca’ traccia più che una possibile definizione una sorta di profezia, peraltro anche politica; il secondo sosteneva invece che la città per sua natura sarebbe cresciuta comunque anche senza la pianificazione. Due verità.
Siena e la politica della comunità senese, come ogni altra del resto, confermano entrambe le affermazioni e tutto ciò è evidente nella sua forma da cui emerge però una radicata identità urbana. Io credo che si debba ripartire da qui, da una presa di coscienza sulla necessità che questa identità venga in qualche modo rinnovata o quantomeno adeguata considerando la città come una città normale. Una normalità intesa come strumento metodologico per affrontare un sistema di fattori, non solo urbanistici ma anche culturali, sociologici, economici, che la contemporaneità ci pone incessantemente di fronte e che tendono ha modificare e a volte destabilizzare, in tempi più o meno rapidi, gli equilibri morfologici e tipologici.
Questa normalità parte innanzitutto dal presupposto che occorra ragionare su ciò che vorremmo che accada e non guardare ciò che già è accaduto lasciando da parte le frequenti litanie del bel tempo che fu. Ciò non può comunque essere frainteso come un tentativo di mettere in discussione gli acquisiti valori secolari identitari a vantaggio di una normalità, appunto, che possa dequalificare l’immagine della città o privarla della sua connaturata incisività storica e culturale.
Ambrogio Lorenzetti in palazzo pubblico raffigura una spaccato urbano in cui si svolgono attività normali, quotidiane, quasi ovvie ma all’interno di un sorprendente e inatteso connubio con ciò che sta fuori. Ecco quindi una tipicità connaturata quello tra città e campagna e non città Vs campagna.
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Oramai quasi tutte le ricerche di sociologia urbana condividono la tesi che all’aumento demografico delle città c’è un corrispondente aumento di bisogno di suolo agricolo, ovvero sempre più persone hanno necessità di procurarsi cibo senza la possibilità di produrlo se non fuori dalla città. La città quindi non può vivere senza lo sfruttamento industrializzato di suolo agricolo. Ma non era così anche secondo Lorenzetti? e non è così anche oggi? può vivere Siena senza i territori che la circondano? che la nutrono di aspetti culturali, sociali, produttivi ( non più di grano evidentemente) ma che sono legati tra loro indissolubilmente? Mi pare pertanto che tutto ciò sia un aspetto ‘normale’, che include però tra i fattori identitari, quello di dipendere da qualcun altro e questo forse a Siena trova un po’ di difficoltà. L’unica giustificazione a tale atteggiamento è nella tradizione contemporanea, dove città e campagna sono viste come due entità distinte e contrapposte, come due mondi diversi e inconciliabili, due modi di organizzazione sociale.
Il dualismo città/campagna è foriero di ulteriori considerazioni, la prima è relativa alle mura intese fin dalle origini come confine fisico. A partire dagli inizi della loro esistenza lungo il perimetro si sedimentavano persone cose e attività che non avevano accesso alla città, ma spesso si trasformavano in luoghi vivi in cui sorgevano spontaneamente attività relazionali, commerciali una sorta di abitare parallelo a ridosso della città. Questa funzione è andata perduta a vantaggio spesso di parcheggi o aree verdi inaccessibili incolte o degradate. Occorrerebbe un’attenta ricognizione e riqualificare, valorizzare o, in alcuni casi riscoprire, l’attacco a terra delle mura, interno ed esterno ad esse. La seconda, collegata alla prima, è relativa alla possibilità di ripensare questi lembi di verde, in analogia a quanto già esiste, mi riferisco in particolare ai giardini delle contrade luoghi incredibilmente affascinanti, ma che non tutti i cittadini possono frequentare evidentemente e comunque per limitati periodi dell’anno. Occorrerebbe quindi semplicemente lavorare su un sistema urbano che già esiste.
Il significato Città/campagna credo debba essere inoltre trasposto a quello tra capolugo e centri minori ma occorre un dato in più. Oltre al rapporto relazionale tra centri abitati è necessaria una progettualità relativa a tutto ciò che sta in mezzo. Non mi riferisco alla viabilità, ma a tutti quegli spazi privi di identità e socialità che caratterizzano ormai molte parti del territorio attorno al capoluogo. Pur non essendo in presenza di aspetti riconducibili a quella che è stata definita a suo tempo da Bernardo Secchi come città diffusa, sono comunque evidenti aspetti episodici simili.
Questo fenomeno non è certo parte integrante dell’identità senese ma non può nemmeno essere nascosta la sua esistenza, e risulterebbe improprio riproporre analogie con le ormai datate tesi di Marc Auge sui non luoghi, ma alcuni più recenti studi tra cui quelli di Richard Sennett potrebbero essere d’aiuto.
Le sue teorie fortemente condizionate da quelle dell’americana Jane Jacobs si basano fondamentalmente sulla differenza tra spazio, privo di connotazioni sociali, e luogo in cui invece esiste una socialità diffusa spesso spontanea che rende vitale una piazza, una strada un parco senza necessariamente grandi interventi architettonici o urbanistici e dove ai progettisti, per alcuni aspetti si sostituiscono i cittadini stessi, d’altra parte lo stesso Giancarlo De Carlo amava raffigurare la strada affollata di persone di ogni età dove ognuno svolgeva la propria attività (grazie anche ad una visione forse eccessivamente taumaturgica assegnata all’architettura) una chiara unità di intenti con quanto andava facendo in Olanda in maniera analoga un altro esponente del team X Aldo van Eyck. Un’idea del progetto che si rende efficacie solo con la reazione e la riappropiazione dei cittadini di quel luogo.
Questo tipo di analisi dovrebbe condurre ad una attenzione particolare per una metodologia d’intervento diffusa, puntuale, che riconduca ad un disegno generale soprattutto delle parti
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prive di vita collettiva e che si accumulano spesso tra luoghi più strutturati, ciò che sta in mezzo, appunto. In questa direzione la strumentazione operativa che Bernardo Secchi elaborò per il piano di Siena credo possa essere ripercorribile pur considerando la necessaria attualizzazione. Il progetto di suolo che venne previsto (e di fatto poco utilizzato) è stato spesso stravolto o disatteso ma occorrerebbe riprendere i caratteri operativi che individuava.
Per completezza vorrei porre l’attenzione sul fatto che fino ad ora, tra gli altri, sto citando tutti gli architetti che hanno lasciato un segno indelebile sulla città proprio perche li ritengo depositari di una identità e di una cultura progettuale che Siena bene o male possiede e dovrebbe rivendicare. Avrei dovuto fare una forzatura citando Alvar Aalto e Adolfo Natalini semplicemente per la natura degli interventi progettati dal primo (la fortezza) e realizzati dal secondo (la Facoltà di Giurisprudenza). Potevano essere citati anche altri nomi e metodi di studio ma è opportuno che le esperienze maturate e volute dalle Amministrazioni o Istituzioni pubbliche che hanno prodotto trasformazioni e cambiamenti nella città nel tempo, siano da considerare come identitarie di una pratica urbanistica e patrimonio oramai di una progettualità senese. E’ necessaria una consapevolezza storico critica che ponga ciò che è avvenuto nella città contemporanea sullo stesso piano di ciò che è stato realizzato in epoca barocca o medioevale. Senza questa lettura la città non può essere conosciuta e modificata.
Ma al di là di procedere in una direzione o in un’altra non si tratta solo di ristrutturare o rendere esteticamente più accattivanti alcuni edifici, aree dismesse o altre in cui la natura addirittura genera rovine, ma di intervenire stimolando o “provocando” una riappropiazione da parte dei cittadini degli spazi residuali. Questa riappropiazione spesso può avere una forte componente di spontaneismo, incertezza, ma allo stesso tempo flessibilità, che non può essere controllata sempre e comunque. L’urbanistica nel secolo scorso è nata sopratutto con l’intento di mettere ordine alla crescita della città ma la componente deterministica e funzionalista modernista ha tolto i caratteri di cui dicevo. E’ avvenuta una iperdeterminazione sia delle forme visive della città sia delle sue funzioni sociali, l’inventiva urbana ha perso vitalità. Ciò non vuol dire decretare il fallimento dell’urbanistica, tutt’altro, e nemmeno consegnare le chiavi della città alle forme più estreme di spontaneismo come tendono alcune della cultura anglosassone o Americana. Ricordiamo doverosamente per onestà intellettuale che nel corso del ‘900 occorreva risolvere problemi chiari definiti e in poco tempo: la crescita improvvisa dovuta all’inurbamento, la ricostruzione dopo la seconda guerra o le giuste politiche della ‘casa per tutti’. Oggi al contempo la disciplina urbanistica calata in una città di provincia come Siena deve intraprendere anche metodologie alternative a quelle utilizzate fino adesso che non sono solo pianificazione. Non per niente fino a questo momento ho fatto nomi anche di sociologi oltre che di architetti. La città oggi non cresce più grazie solo all’attività intellettuale dell’architetto che dalla sua torre d’avorio dispensa i suoi disegni. Altre figure lo hanno sostituito quasi completamente, le dinamiche urbane sono condizionate solo marginalmente da una figura professionale che di fatto si sta ricollocando nel panorama globale.
Ma tornando all’aspetto a cui accennavamo relativo al rapporto tra capoluogo e centri limitrofi e, come dicevo, al rapporto relazionale e progettuale di tutto ciò che sta in mezzo, la lettura di un sistema urbano inteso come struttura reticolare fatta da piccole comunità che spesso hanno un carattere identitario radicato collegate con la città ma che non hanno una dotazione di servizi necessaria, conferma, anche negli ultimi anni, la dipendenza dal capoluogo stesso. Questa struttura urbana e sociale implica tre problemi che per certi aspetti non sono solo senesi.
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Il primo è quello di una presa d’atto che anche Siena, così come molte altre città di qualsiasi natura e scala è frequentata da una grande quantità di cittadini che utilizzano solo i servizi che la città loro offre, professionali o di svago che siano, per un periodo della giornata o della settimana, ma che non vivono stabilmente nella città. Ciò modifica non solo la forma della città ma soprattutto le destinazioni d’uso e le funzioni oltre al carattere identitario di cui si parlava in precedenza. Su questo aspetto credo che anche i nuovi strumenti urbanistici dovranno rivedere il cambio di destinazione d’uso rendendolo una pratica molto più flessibile di quanto sia stato fino ad oggi, allargando le maglie a un riuso spesso troppo condizionato e condizionante. Dicevamo che la città è, per i cosidetti usercity, semplicemente un servizio o una serie di servizi, anche culturali, il turismo mordi e fuggi è una tra le conseguenze. E’ vitale pertanto cambiare il tipo di servizio per modificare il tipo di utenza e l’utilizzo della città. In questo caso è fin troppo chiaro il ricollocamento del santa Maria della Scala come nodo, senz’altro capofila, di quella struttura a rete territoriale che coinvolga l’intero territorio provinciale e propaghi la sua attività ad una scala più ampia, assecondando la necessità di essere un servizio, che piaccia o no, ma assegnandoli un ruolo qualitativo alternativo che comprenda anche funzioni divergenti da quelle a cui è stato adibito fino ad oggi, come tra l’altro la sua storia insegna.
A tal proposito vorrei mettere in evidenza come tutte le città più o meno grandi funzionano e traggono la loro essenza e vivacità dalla necessaria moltitudine di funzioni che vi si svolgono contemporaneamente e spesso nello stesso luogo. Tale lettura, pur divergendo dalla preponderante impostazione funzionalista per zoning, può ritenersi inaspettatamente costruttiva per la rivalutazione di un centro storico come quello senese nato come luogo preposto alla socialità costruita attorno ad ogni tipo di attività svolta al suo interno.
Stessa condizione per i quartieri nati dopo gli anni ’50, alcuni sono falliti (non mi riferisco solo a Siena naturalmente) per la mancanza di adeguati servizi da accompagnare alla residenza. Solo da poco San Miniato sta acquisendo una autonomia e fisionomia grazie ai servizi che lo rendono indipendente dal centro storico.
Il secondo è relativo alla viabilità. L’attuale distribuzione dei servizi continua ad incrementare un pendolarismo locale anacronistico privo di qualunque ragione funzionale. Il mancato completamento della Cassia non rende certo merito a quei caratteri identitari affrescati in Palazzo Comunale credo pertanto che non si possa non parlare di cattivo governo. Ma è altrettanto vero che il completamento di quell’infrastruttura, può risollevare la sicurezza e la qualità della vita di migliaia ci cittadini a sud del capoluogo e contemporaneamente riqualificare il vecchio tracciato esistente e il sistema della mobilità, tutto ciò malgrado la ormai radicata separazione disciplinare che da sempre demanda all’ingegneria le infrastrutture viarie (e tutto ciò che le accompagnano) e agli architetti gli edifici, provocando danni irreparabili al paesaggio (su questo occorrerebbe una trattazione a parte). Relativamente al tema della viabilità vorrei portare solo un esempio che probabilmente molti già conoscono. Ormai da qualche anno, pur essendo in fase sperimentale esistono dei sistemi integrati di mobilità. Tra i più conosciuti e rivoluzionari è quello della MaaS acronimo di Mobility-as-a- service. Il sistema offre ai viaggiatori un unico canale digitale dove programmare, prenotare e pagare l’intera tratta del proprio spostamento riducendo pressoché a zero gli inconvenienti o imprevisti soprattutto quando si tratta di cambiare il mezzo di trasporto. I passeggeri possono cosi fruire di un’esperienza gradevole, comoda e personalizzata. Le ferrovie Olandesi lo stanno sperimentando individuando anche una tipologia di piccole stazioni sulla base della loro collocazione geografica: centro città, di trasferimento o rural esterne agli abitati. Una soluzione denominata door-to-door per passeggeri con esigenze completamente diverse che possano
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raggiungere i luoghi senza interruzioni e che integri trasporti pubblici condivisi e privati pianificando il percorso più adatto. Non conosco su questo aspetto le conoscenze specifiche acquisite dall’Amminstrazione Comunale pertanto probabilmente sto portando esempi già in fase di elaborazione. Questo sistema credo che comunque meriterebbe di essere approfondito considerandolo particolarmente adatto alle dimensioni territoriali in cui si troverebbe ad operare, quelle senesi appunto, e potendo ipotizzare una analoga città dei 15 minuti ma con tratti extraurbani, tutto in modo sostenibile e migliorando la qualità degli spostamenti e la diminuzione dell’uso dell’auto privata.
Tutto ciò, in maniera impropria e superficiale si avvicina alla vuota definizione di smartcity, una denominazione che per chi scrive è priva di senso e utile solo a giustificare qualche bicicletta elettrica qua e la in giro per la città, ma come ho cercato di suggerire solo a proposito della mobilità, le soluzioni sono ben più articolate e complesse. Credo che una delle migliori definizioni di smartcity sia quella che riconduce il risultato finale ad assomigliare ad una sorta di giocattolo per adulti.
Veniamo al terzo punto inevitabilmente connesso agli altri due e cioè quello di considerare alcune nuove identità urbane come autonome e ormai connotate da un loro carattere proprio e spesso persino potenzialmente indipendenti dalla città storica. Ma oltre a questo è opportuno dedicare nuova progettualità a tutti quei non luoghi che sopravvivono nel panorama urbano, e che come già detto devono essere riqualificati e potenziati inclusa naturalmente la viabilità esistente, i percorsi pedonali e ciclabili, andando così a riconsiderare parti anche consistenti di tessuto urbano a volte persino abbandonato ponendo le condizioni per una rinnovata integrazione sociale, vorrei porre l’attenzione sul tratto della strada fiume, sul collegamento tra la stazione e l’antiporto, sui tratti stradali che collegano Taverne d’Arbia o Isola d’arbia e naturalmente agli ormai determinanti tratti di Viale Toselli e via Massetana.
Ragioni di tempo e spazio mi obbligano ha concludere queste brevi incomplete e superficiali considerazioni ma non prima di auspicare ed invitare chiunque amministri, progetti, o anche semplicemente viva la città ad adoperare un modo di procedere inconsueto ma credo più stimolante. Percorrere alcuni tratti di strada o frequentare alcuni luoghi spesso apparentemente anonimi utilizzando gli strumenti del flaneur di Balzac o Baudelaire, del situazionismo di Guy debord o dell’atteggiamento blasè di Georg Simmel fino ad arrivare a quelli forniti dalla psicogeografia, stimola ad una interpretazioni della città e dell’abitare inaspettata, aiutando a mettere a fuoco visioni alternative a quelle proposte solo dall’urbanistica. ciò renderà forse più ingenuo, ma estremamente fertile, il contributo da consegnare a coloro che codificano e traducono fisicamente le trasformazioni urbane. Tutto ciò può e deve essere fatto da chiunque riconsiderando quegli aspetti forse discutibili a tratti populisti ma propositivi di un’urbanistica partecipata, da non scambiare con le inutili iniziative in cui si rendono pubbliche le scelte già fatte e soprattutto ricostruendo una qualità dell’abitare fatta di piccoli, puntuali, ma diffusi interventi, strumentali ad una rinnovata socialità in cui ogni cittadino possa riconoscersi nella volontà della propria epoca.
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Arch. Riccardo Roda
Nuove dinamiche e trasformazioni possibili per Siena
Le città e i loro territori riflettono ed amplificano la crisi prolungata di un modello economico mondiale basato su un capitalismo finanziario senza freni, che negli ultimi decenni ha portato ad un aumento della forbice sociale, all’impoverimento crescente di fasce di popolazione, all’incremento del disagio sociale , al cedimento progressivo dei meccanismi di welfare, alla perdita del principio dell’autorità politica e scientifica.
Siena non è aliena da questi meccanismi, che si manifestano con la perdita progressiva del potere economico del suo territorio, con le incertezze legate alle sorti del MPS, con fenomeni crescenti d’immigrazione, con l’aumento del disagio sociale e di quello abitativo e con un evidente scollamento tra città storica e periferie, con l’assenza perdurante di scelte precise e di largo respiro su temi cruciali quali sviluppo economico , istruzione, cultura, infrastrutture, l’abitare.
Per arrestare la minaccia di un progressivo declino, Siena deve necessariamente individuare linee d’azione in grado di affrontare le sfide sul tappeto, evitando di limitarsi ad una semplice manutenzione ordinaria del territorio e privilegiando azioni concrete, fattibili, e in grado di invertire l’attuale autlook negativo.
Cinque possono essere, senza pretesa di esaustività, gli assi su cui lavorare in uno scenario di medio periodo sulla base delle risorse attualmente disponibili:
1. Lavorare a scala metropolitana : Siena e la sua area metropolitana sono intimamente legate per quanto riguarda mobilità, lavoro, istruzione, beni culturali ed ambientali. Uno sviluppo sostenibile del territorio passa in primo luogo dal ribaltamento dell’attuale politica urbanistica, basata sulla divisione e sull’antagonismo, a cui opporre una progettazione unitaria su tutte le tematiche strategiche per il rilancio e la valorizzazione di Siena e del suo territorio, attraverso la promozione di un Piano Strategico per l’intera area metropolitana.
2. Perseguire l’idea di una città sostenibile ed piu’ inclusiva: Siena deve sostenere con forza, senza timori, la transizione ecologica attraverso una serie di azioni coordinate in grado di difendere i livelli di qualità ed inclusività storicamente acquisiti. Di conseguenza lo sviluppo sostenibile deve trasformarsi da iniziative slegate e frammentarie in un progetto organico di visione della città e del suo territorio, che segni un netto cambio di passo rispetto al passato; quest’obiettivo si concretizza attraverso il sostegno della mobilità pubblica e sostenibile, con l’aumento dei servizi di prossimità, con la protezione di un centro storico sotto pressione, con interventi organici per le periferie , e infine sposando la filosofia dei “volumi zero”. Il recupero e la rigenerazione urbana sono uno strumento indispensabile per una città che vive una fase di riflusso economico e di stasi demografica, a fronte di numerosissime occasioni da sfruttare senza bisogno di impegnare in questa fase ulteriore consumo di suolo. La rigenerazione urbana, da attuare con flessibilità, è poi uno strumento indispensabile per riaffermare un progetto di città sostenibile in grado di attrarre in modo convincente investitori nazionali ed esteri.
3. Promuovere il rilancio economico e sociale di Siena e del suo territorio: è questa la sfida principale su cui oggi Siena si deve confrontare. La sostenibilità e la politica di rigenerazione urbana si sposano perfettamente con azioni di rilancio che non potranno che partire dai punti di forza dell’economia locale, e cioè attività trainanti quali terziario, biomedico, farmaceutico, i beni culturali e l’economia della conoscenza. In questi campi vi è bisogno di prevedere
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iniziative che sul territorio si trasformano in centri di alta formazione, start-up, incubatori d’impresa, business center, centri espositivi laboratori e spazi museali più adeguati, per arrivare alla promozione di parchi scientifici e tecnologici già previsti vent’anni fa. A ciò vanno aggiunte azioni per favorire l’innovazione, in particolare i processi di digitalizzazione, l’adeguamento della politica commerciale – che si deve confrontare con la difesa degli esercizi di qualità, il privilegio delle attività di prossimità e la tematica crescente del delivery- e politiche piu’ sostenibili per il turismo, a partire dalla regolamentazione degli accessi e degli attracchi.
4. Sviluppare politiche di welfare e coesione sociale: la difesa dell’inclusività e della coesione sociale della città e del suo territorio è uno dei passaggi cruciali su cui oggi bisogna intervenire, attraverso lo sviluppo di azioni organiche ed innovative poiché gli strumenti ordinari di welfare sono sotto pressione, e risultano insufficienti.
Facendo riferimento al segmento dell’abitare sociale , che investe la gestione del territorio e che da troppi anni risulta trascurato, Siena dovrà impegnarsi a combattere il crescente disagio abitativo con azioni che puntino da un lato ad aumentare l’efficienza gestionale del patrimonio pubblico ( record regionale di alloggi sfitti), sia ad intercettare i nuovi bisogni abitativi ( giovani coppie, anziani, studenti) attraverso accordi ed intese con soggetti istituzionali presenti in Toscana nel campo dell’housing sociale. Va infine varato un programma speciale per la rigenerazione delle periferie piu’ fragili, a partire da S.Miniato e Taverne, con azioni che promuovano l’incremento dei servizi, dei collegamenti, dell’inclusività e della qualità sociale dell’abitare.
5. Migliorare il sistema della mobilità e della sosta: la mancanza di azioni strutturali e la scarsa efficacia di azioni di più corto respiro hanno determinato una pressione crescente del traffico privato sulla città, sul territorio e soprattutto sul centro storico, a cui si contrappone un’offerta di sosta non più adeguata. In uno scenario di medio periodo le azioni principali devono essere finalizzate ad arginare il degrado connesso alla situazione in essere, sviluppando al contempo azioni di maggiore respiro. Va quindi completato il PUMS ( Piano per la Mobilità Sostenibile), rafforzato il TPL, favorita la mobilità elettrica, regimentati gli accessi al centro storico, attuata la riforma già prevista degli accessi turistici, concretizzata la risoluzione dei punti caldi costituiti dalla riorganizzazione del ponte di Malizia e dalla riqualificazione della Massetana e Fiume-Toselli. Per la sosta è necessario incrementare l’offerta ben oltre le previsioni attuali, favorendo la sosta di prossimità per gli abitanti del centro storico e spostando il sistema dei parcheggi scambiatori verso l’esterno, abbinandoli al potenziamento del TPL.
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Prof. Arch. Livio Sacchi
Un futuro per Siena: città, identità e progettualità
Qualsiasi azione intendiamo intraprendere per il futuro di una città, che si tratti di Siena come di ogni altra, non possiamo prescindere da un ordine di carattere politico, sociale, culturale, amministrativo da una parte e da un ordine fisico, costruttivo dall’altra. Il primo è compito di chi governa e ha come obiettivo le scelte giuste e la costruzione del consenso, democraticamente inteso, intorno a tali scelte; il secondo è compito invece dei tecnici – architetti, pianificatori, ingegneri ecc. -, cui spetta l’interpretazione di tali scelte nello specifico progettuale e costruttivo.
L’identità urbana
Al concetto di identità attribuiamo spesso, acriticamente, valore positivo senza riflettere su come esso, altrettanto spesso, sia in contraddizione con una società, e quindi una città, aperta, accogliente, inclusiva, in grado cioè di integrare la diversità. Siena, eccellente nel panorama italiano, è fra le più esposte a tale equivoco: non è facile enuclearne l’identità su uno sfondo culturale sempre più aperto, ibrido e interconnesso. Non a caso, lo scrittore cinese Gao Xingjian, premio Nobel per la letteratura nel 2000, scrive: “Ecco ciò che penso dell’identità, che è sempre connessa al potere politico e, anzi, nasce per l’esigenza politica di identificare un paese o una nazione”. Altrettanto non a caso, molto prima, Jacques Derrida ci aveva messo in guardia nei confronti di qualsiasi monogenealogia, che rischia di essere una mistificazione nella storia della cultura: una cultura non ha mai una sola origine. In questo senso, la scelta di vivere insieme, di con-vivere è centrale: costituisce anzi lo scopo ultimo, telos di ogni città. È stato Cacciari a ricordarci che Roma, con il suo progetto urbano, nacque come pluralità di civitates, nationes e gentes: individualmente riconosciute, ma federate nella comunità romana in cui tutti diventavano, erano e si sentivano cittadini della stessa urbe.
Costruire il futuro
Il lavoro sulla città richiede un alto senso di responsabilità, un concetto che, come ci ricorda Settis, non è in contraddizione con la libertà: “la vera libertà non si esercita ripudiando ogni senso comunitario, (e con esso la democrazia), bensì vivendo la cittadinanza come un perpetuo equilibrio fra diritti e doveri”. Un monito, particolarmente importante in un momento storico in cui si parla soltanto dei primi e mai dei secondi. Le città sono inoltre in perenne trasformazione, che lo si voglia o no, anche quando facciamo ogni sforzo perché non cambino o perché cambino il meno possibile; tali processi di trasformazione vanno orientati e accompagnati nel modo più opportuno ed equilibrato. Il lavoro sulla città richiede consapevolezza del fatto che il suo futuro è, prima di tutto, un futuro comune, in una logica che non può non tenere costantemente d’occhio l’interdipendenza in cui viviamo. Il futuro di una città è dunque qualcosa che si prepara e si costruisce, insieme, nel tempo e non è altro che il prodotto delle nostre azioni presenti, di ciò che facciamo e di ciò che non facciamo; soprattutto è il prodotto della nostra concreta capacità di progettare e innovare, ovviamente nella direzione giusta. Il futuro non si costruisce subendolo più o meno passivamente ma progettandolo. Come? Ancora oggi, non si può che progettare disegnando, utilizzando quello che è sempre stato il principale strumento creativo a disposizione dei progettisti: il disegno. Un disegno che genera progettualità e, quindi, innovazione (concetti strettamente collegati). Un disegno tuttavia sempre più diverso da quello stratificatosi nel corso del tempo, nella storia del
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nostro mestiere; un disegno che, attualmente, non può che essere big data informed, basato sui dati che la stessa città fornisce e che la rendono responsive, cioè reattiva e interattiva. Le tecnologie smart da una parte e il machine learning dall’altra portano a loro volta a forme, diverse e più o meno evolute, di cognitive design, all’intersezione fra uomo e ambiente, in grado di gestire, con o senza l’ausilio dell’intelligenza artificiale (meglio con), la complessità delle scienze urbane e quindi orientare progettualità e governance. Inutile ricordare che quest’ultima non è “governo”: va intesa piuttosto come sistema di reti auto e inter-organizzate in grado di definire e implementare gli obiettivi politici pubblici con processi che mirano al dialogo, al compromesso e alla negoziazione fra soggetti governativi, amministrativi e privati, comunità, ONG, associazioni non profit ecc. Potremmo dire che la governance di cui ha bisogno la città contemporanea è quel “Buon Governo” così meravigliosamente illustrato da Ambrogio Lorenzetti negli affreschi di Palazzo Pubblico? Noi pensiamo di sì.
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Prof. Arch. Franco Purini
Note per un piano tematico
Siena potrebbe essere definita una città geografica, costituita da una serie di severi e potenti edifici la cui composizione ricalca l’orografia del luogo. In questa originale modellazione plastica – una vera e propria scultura naturale – va riconosciuta la radice genetica della città, tra strade ripide e curve del tracciato urbano che devono contrastare i venti e, secoli fa, impedivano potenziali ondate di frecce e lance. Camminare nel tessuto serrato e complesso della città produce sensazioni molteplici offrendo anche sorprendenti scorci sul paesaggio circostante o su contrade lontane. Le varie parti di Siena, dominate dai crinali, convergono nella magica conchiglia di Piazza del Campo, protetta dalla slanciata torre del Mangia, il centro che accoglie i percorsi e che, nello stesso tempo, li proietta attorno a sé con poetica energia. Visto fuori della città, il Duomo sembra poggiare sull’Ospedale di Santa Maria della Scala, una sorta di labirintica infrastruttura urbana che nella sua articolata stratificazione fa pensare a un roccioso e frastagliato dirupo. L’incompleto ampliamento del Duomo ricorda che la città decise che non avrebbe vissuto il Rinascimento in una nuova fase evolutiva, ma scelse di includere nella sua morfologia medioevale ogni altra fase della sua esistenza.
Una premessa necessaria. Storia, antropologia, sociologia, filosofia, economia, geografia, geologia, climatologia, scienza dei trasporti, sistema idraulico, agricoltura, politica, medicina, scienza militare, approvvigionamento di viveri e di altre mercanzie, commercio, etica, statistica, sono saperi e attività riguardanti la città talmente numerosi e attivi da far sì che non sia possibile una conoscenza completa della città ma solo una sua interpretazione parziale e transitoria. Ciò comporta che pensare il futuro dell’organismo urbano sia impossibile o possibile solo in una condizione limitata e in un tempo piuttosto ristretto. Una autentica sintesi della città, nonché il valore di un intervento sulla sua struttura siano di fatto incidentali e, per più versi, incerti.
Chiedersi se le città abbiano un proprio progetto di esistenza in grado di procedere nel tempo o evolva per casualità, è una domanda pressante alla quale occorre rispondere. Spesso le due situazioni possono creare insieme le condizioni di un cambiamento, ma in questo caso all’interno di rilevanti conflittualità. Un secondo dilemma urbano consiste nel rispondere a un’altra domanda, che riguarda se scegliere che la città vada analizzata nella sua totalità, intendendola come un’unità, o analizzata nelle sue parti. Come entità unitaria la città si rivela meno enigmatica sebbene sia sempre, come si è già detto, comprensibile solo parzialmente e in modo transitorio. Se invece è interrogata nelle sue singole parti, essa non farebbe che ‘moltiplicarsi’, rendendo ancora più arduo costruire un suo credibile e operante ritratto.
Una terza opzione si affaccia alla mente quando si ricerca qualcosa di determinante nella città. Si tratta del rapporto tra l’effimero e il costante. Una città ha un corpo duraturo, che a volte rimane tale per secoli, come a Siena, ma la vita che in essa si svolge è continuamente diversa attraversando, periodo dopo periodo, condizioni sociali, strutturali e culturali mutevoli. In breve un’incessante metamorfosi avvicenda le sue fasi e le sue variazioni in un paesaggio urbano che è più o meno sempre lo stesso, causando in tal modo uno sfasamento
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problematico e reiterato tra due aspetti entrambi determinanti per la vita della comunità urbana.
Studiare il rapporto tra la città e il suo intorno è un problema quanto mai importante. L’idea di rendere subalterni rispetto a Siena i centri urbani del suo territorio è per chi scrive un errore che lo sarebbe, però, anche concepire una relazione aperta e collaborativa tra gli stessi centri urbani e la città alla quale fanno riferimento. In breve tale rapporto dovrebbe essere dialettico, paritario nonostante la differenza tra le rispettive entità, collaborative su più argomenti. Il romanzo “Monteriano”, in realtà Monteriggioni, di Edgar Morgan Forster, mostra un microcosmo ricco e denso di strumenti che è pari a quello senese, l’esempio avvincente di una cultura che non distingue tra il grande e il meno grande, tra la moltitudine e un abitare stesso e da tutti compreso. Da Siena al suo territorio e da questo territorio a Siena sono due percorsi di identica natura che fanno propri i rispettivi valori dei due contesti. L’isolamento dei borghi che circondano la città non esiste più nell’era digitale che consente a tutti, qualsiasi sia il loro abitare, ampio o ridotto, le stesse connessioni con il mondo in una uguale circostanza temporale.
Uno dei problemi più difficili da risolvere a Siena va identificato nel carattere casuale, indeterminato e in gran parte ‘informe’ dell’espansione esterna della città. Il suo ambito periferico è in realtà una seconda Siena lontana, ma non spazialmente, dalla prima. Ciò che occorrerebbe fare in queste nuove parti della città é una collana di nuovi luoghi che uniscono le parti della città trasformando il proprio clima periferico in una presenza architettonica in accordo con la città storica e con quella moderna. Non è errato, ad esempio pensare che una rete di interventi di media intensità monumentale, comprendenti strutture per la comunità locali ma anche per tutta la città, consentirebbe di stabilire un”attiva gradualità’ tra i paesaggi urbani storici e quelli moderni e contemporanei. Ciò comporterebbe alcuni diradamenti attenti e ambientalmente adeguati ma anche qualche densificazione. Assieme a un nuovo paesaggio del verde, che non sia un “terzo paesaggio”, ma un’architettura arborea erede della dialettica antica tra edifici e natura, il carattere periferico sarebbe probabilmente in grado di consolidarsi divenendo finalmente un nuovo scenario stabile, duraturo e dotato di memoria della città.
Un recente fenomeno ha introdotto nelle relazioni che si stanno interpretando in queste note una novità di portata mondiale, un esito dell’attuale, e per ora ultima, età globale. Tale novità consiste nell’essere la virtualità, divenuta per chi vive nell’universo digitale la vera realtà, mentre la realtà fisica, quella concreta e storica, è considerata un semplice sottoprodotto della prima. Questa inversione è più che preoccupante. Nel corso delle vicende umane ciascuna persona costruiva sempre un proprio modello ideale alimentato dalla poesia, dai romanzi e sopratutto dalle immagini, nel Medioevo gli affreschi e dopo i quadri, opere che raccontavano cose memorabili facendo sì che fosse possibile inventarsi un io parallelo migliore, destinato a splendide avventure, incontri favolosi, fortune senza pari. In breve questa duplicazione ideale aveva come esito il pensiero di essere migliori, in grado di vivere due vite sapendo bene, però, che la realtà fisica era quella vera, così come la vita fantasticata era solo l’effetto del tentativo di sentirsi sempre più apprezzati e amati. Oggi è in voga il contrario di questa invenzione salvifica. E’ l’immagine virtuale che è ritenuta la vita reale, un’esistenza di avatar mentre le persone vere sono mere rappresentazioni incorporee. Corpi trasparenti, nebbiosi, l’ombra incerta e infelice di ciò che gli esseri umani erano prima della rete, del metaverso, di un autoconsumo illusorio ma colonizzatore e di finzioni mediatiche sempre più effimere. Tutto ciò
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accade nella città in cui si vive che non è più quella solida, difficile anche se, alla fine, accogliente. Quello che conta è la trasmutazione alchemica della città nel suo simulacro elettronico che è da tempo sentito come qualcosa di sacro, l’emblema della nuova religione, quella del digitale, che oggi domina, e cerca di dominare sempre di più, l’esistenza di ogni membro delle comunità umane.
Riassumendo quanto chi scrive ha detto nel recente incontro a Siena, va riconosciuto che da qualche decennio nella vita delle città, e soprattutto nella definizione parziale e transitoria del suo futuro si può constatare la crisi profonda e ormai storicizzata dell’urbanistica. Da più di mezzo secolo essa ha voluto separarsi dall’architettura, considerata come un esito di natura secondaria rispetto al primato del pensiero urbanistico con le sue conseguenze sulle scelte del piano. Scelte che non hanno mai superato il livello dell’astrazione risultando, nella maggior parte dei casi, sterili, incomplete, fuori tempo. l’esito dell’allontanamento dell’urbanistica dall’architettura lo vediamo non solo in ogni città e non solo in Italia, ma in ogni area del pianeta. La perdita della nozione di morfologia, l’eclisse della tipologia, l’assenza dei luoghi, sostituiti dalle atopie, che hanno annullato anche i “non luoghi” di Marc Augé, sono ambiti tematici di vitale importanza perduti, si spera non per sempre. Nello stesso tempo la sociologia ha riempito gli spazi vitali dell’urbanistica, a sua volta sopraffatta anche da un ambientalismo più propagandato che concretamente agito.
Una considerazione necessaria prima di concludere queste note consiste nel voler tenere presente che la storia dell’abitare umano ci pone davanti a una positiva contraddizione. Il costruire ha oggi lo stesso significato di quando i primi esseri umani scoprirono le grotte come ripari naturali, le capanne come rifugi più avanzati e accoglienti e le tende, che consentivano di potersi spostare avendo a disposizione strutture accoglienti da smontare e rimontare. L’architettura ha dunque alcuni principi primi invarianti nel tempo. Essi sono l’idea di un rifugio sicuro, l’organicità funzionale e costruttiva dell’edificio, la sua bellezza, la memoria della comunità che l’edificio deve trasmettere, il suo creare luoghi e il contenere contenuti visibili e invisibili. La contraddizione di cui si è detto si riconosce nel dover confrontare i principi prima appena elencati con le circostanze culturali e produttive che volta per volta cambiano lo scenario concreto in cui le architetture devono essere relazionate. Ciò vale anche per l’urbanistica, che non è altro dall’architettura ma semplicemente un suo aspetto importante. Il paesaggio/territorio/ambiente, la città, gli edifici compongono l’abitare e cioè l’architettura nella sua interezza tematica, simbolica, concreta ma anche, come insegna la storia, misteriosa, spesso per questo mistero “indicibile”, ricordando un aggettivo caro a Le Corbusier.
Ciò che si è detto a Siena è pieno di speranze, che devono non rimanere tali ma dare vita a realizzazioni in accordo con le esigenze della città ma prima di tutto con la sua storia. Ripensare Siena nella contemporaneità e nei suoi prossimi anni deve significare molto di più di una riflessione su una città straordinaria. Andando oltre la tematica della rigenerazione va cercata nel suo leggendario tessuto urbano la coincidenza, non letteraria né compiaciuta o mitizzata, con una modernità vista nella condizione contemporanea. Solo scoprendo il futuro, che è già anticipato dalla plastica presenza di questa città, il ruolo che essa avrà non potrà che divenire sempre più attivo nel delineare i lineamenti di una comunità sperimentale, creativa, più vasta del suo magnifico paesaggio. L’introduzione di Pierluigi Piccini, le relazioni chiare e approfondite di Riccardo Roda e di Francesco Santioli, l’intervento di Livio Sacchi, che ha analizzato con una notevole capacità sintetica alcune attuali problematiche urbane accompagnate da una forte attitudine a pensare futuri positivi per le città, costituiscono nel
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loro insieme una piattaforma concettuale molto utile per l’evoluzione di Siena. Si tratta in sintesi di un Piano Tematico – che Giancarlo De Carlo avrebbe definito come “tentativo” – che emerge dall’incontro di oggi, il quale potrebbe essere proposto all’amministrazione della città come un contributo libero e plurale alla discussione sulla nuova e antica Siena che molti, nel mondo intero, attendono.
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