Il Punto 30/06/2023
1 Luglio 2023Landini: «Meloni distrugge il welfare. Noi lo difenderemo nelle piazze»
1 Luglio 2023
di Massimo Franco
Difficile non essere d’accordo con la maggioranza quando dice che le opposizioni sono divise sul Mes, il controverso fondo salva-Stati. In realtà, lo sono quasi su tutto: in particolare quando si parla di politica estera. È anche azzardato, però, contrapporre alla frantumazione paludosa delle sinistre l’immagine di una destra compatta. Per quanto sia una divisione fatta di silenzi, di assenze, di segnali criptici e di smarcamenti tattici, anche la maggioranza mostra di essere in tensione. Non si rompe perché governa. Ma a volte sembra trovare l’unità solo rinviando le decisioni: proprio come nel caso del Mes, la cui ratifica è stata sospesa per quattro mesi; e offrendo giudizi discordanti tra e anche dentro i partiti alleati: il caso del ministero dell’Economia del leghista Giancarlo Giorgetti, favorevole al «sì» mentre ancora ieri Matteo Salvini ha ribadito il «no», è un esempio eclatante. Detto questo, avallare la tesi di Pd e grillini che accreditano una «Meloni bifronte», morbida a Bruxelles e dura davanti al Parlamento, può andare bene per la polemica. In realtà, c’è una linearità nella politica di Palazzo Chigi, condivisibile o meno. È quella di scommettere sulla possibilità di ottenere il massimo dall’Ue sul patto di Stabilità, ritardando la ratifica del Mes. La premier sa che una parte della sua coalizione è pronta a additarne le contraddizioni, se dicesse «sì» al salva-Stati dopo averlo demonizzato a lungo con la Lega e con il M5S: tempi lontani, dei quali però si avverte tuttora un’eco. Per questo spera che la dilatazione dei tempi possa portare qualche vantaggio; e accreditare un’Italia capace di giocare su più tavoli europei, per spuntare maggiori risultati. Si tratta di una manovra calcolata quanto rischiosa. Già le critiche al commissario Ue, Paolo Gentiloni, che aveva invitato a fare presto con le modifiche al Piano per la ripresa, hanno lasciato un certo sconcerto. Ma soprattutto, quando Meloni dice, giustamente, che lo sfondo e le priorità europee sono cambiati, sembra esitare a trarne le conclusioni. Basta registrare le divergenze tra e con i suoi alleati in Europa: Polonia e Ungheria. Ieri, dopo avere incontrato i presidenti dei due Stati orientali, ha preso atto del loro «no» ai migranti. Ma la premier ha spiegato di «non essere mai delusa da chi difende l’interesse nazionale». Il sovranismo polacco e ungherese congiurano contro l’interesse nazionale italiano, però, e pongono il problema di come ridefinirlo in un contesto mutato. L’aspetto singolare è che il «gruppo di Visegrad», comprendente anche Slovacchia e Repubblica Ceca, si è sgretolato sul conflitto in Ucraina, perché la Polonia è filo-Nato, l’Ungheria filo-Putin. È l’ennesima contraddizione che l’Europa, e in prima linea l’Italia, dovranno cercare di risolvere di qui alle Europee del 2024.