Il ministro Giancarlo Giorgetti deve avere un gemello che sale e scende dai palchi parlando a suo nome. È stato questo sosia che, a Borse ancora aperte, ha sparato la bomba di una sventagliata di nuove tasse «per tutti», facendo crollare gli indici azionari. Sempre il suo doppio ha spiegato che nel mirino del governo non ci sarebbero state solo le banche, come inutilmente avevano provato a fare lo scorso anno, ma l’intera comunità nazionale e il sistema produttivo.
«Sicuramente un concorso di tutti per quanto riguarda le entrate ci sarà».
Intendiamoci, questo gemello “di sinistra” non è che abbia tutti i torti. A piazza Affari c’è chi è diventato ricco e pure ricchissimo. Prendiamo le banche, anzi la banca italiana che in questi giorni è su tutti gli scudi. Andrea Orcel, l’amministratore delegato di Unicredit, l’uomo che è andato a mangiare a casa dei tedeschi, ha sbandierato risultati record per il suo istituto: un utile nel 2024 superiore a 9 miliardi di euro, con 8,6 miliardi distribuiti agli azionisti.
Insomma, un contributo a Orcel e agli altri del sistema bancario, come alle aziende della difesa e a quelle dell’energia si può chiedere, non è un’eresia.
Così come è giusto, come ha spiegato a Bloomberg il Giorgetti-sosia, che gli evasori, coccolati in tutti i modi da questo governo, finalmente paghino qualcosa anche loro.
Il problema è che, ogni volta che il gemello parla, poco dopo arriva il Giorgetti originale a spiegare che non è vero niente, che il mattacchione si è inventato tutto.
Era accaduto anche con il Mes, se qualcuno lo ricorda ancora. Con il gemello di Giorgetti a giurare ai colleghi europei che l’Italia si sarebbe finalmente allineata agli altri Stati membri, consentendo al meccanismo europeo di stabilità di entrare in funzione. Poi la smentita del vero Giorgetti: scusate, abbiamo scherzato, la maggioranza sovranista non vuole.
Sugli evasori che devono pagare si è arrivati al capolavoro. Mentre il sosia dichiarava a Bloomberg che gli evasori devono «accettare l’idea di pagare di più di quanto fatto in passato per mettersi in regola con il Fisco», la sua maggioranza approvava alla Camera un condono tombale impacchettato dentro il concordato fiscale. Un vero sfregio a chi le tasse le paga per forza e per intero, con aliquote altissime. Per avere in cambio liste d’attesa infinite in ospedale e una scuola senza insegnanti di sostegno.
Quello di Giorgetti è uno Stato che si rivolge alle categorie già favorite con la flat tax e si mette in ginocchio chiedendo almeno qualche spicciolo, bontà loro. Un obolo in cambio di una pace quinquennale con il Fisco. E tutto questo nell’era dell’Intelligenza artificiale, dell’incrocio delle banche dati, del tenore di vita misurabile in mille modi.
Ieri il ministro ha citato l’articolo 53 della Costituzione, che nella sua prima parte scolpisce il dovere di tutti i cittadini di «concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Si è dimenticato però del secondo comma dello stesso articolo: «Il sistema tributario è improntato a criteri di progressività». E cosa c’è di meno progressivo della flat tax voluta dalla Lega?
Per non parlare della comica sulle accise che colpiscono il diesel. Messo persino per iscritto l’aumento, salvo poi dire che non era vero, è stata tutta un’invenzione dei giornali. Le accise, dice una nota del ministero dell’Economia, saranno soltanto «rimodulate». Dal benzinaio questa “rimodulazione” costerà una media di 5 euro in più su ogni pieno, una tosatura da tre miliardi in un anno, con le immaginabili ricadute sui prezzi nel carrello della spesa (nota per il Mef: i Tir vanno ancora a diesel). Ma non dite a Giorgetti che le accise si alzeranno, perché è una fake news.
Insomma, in vista della sessione di bilancio è bene che il vero Giorgetti si metta d’accordo con il suo gemello una volta per tutte. E gli imponga di non uscire di casa a sparare tasse in libertà.