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Robert Francis Prevost è il nuovo Papa: ha scelto il nome di Leone XIV. Un segnale forte, tra continuità e cambiamento, con al centro la parola pace.
Di cosa ha bisogno oggi la Chiesa? E cosa, invece, il mondo? Sono domande profonde, che non riguardano solo i credenti. La Chiesa ha bisogno di continuare il cammino aperto da Francesco, ma anche di ritrovare misura, ordine, stabilità. Il mondo, lo sentiamo tutti, ha bisogno soprattutto di pace. Di una pace che sia concreta, ma anche interiore.
L’elezione di Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, sembra rispondere a entrambe queste esigenze. Figura vicina a Francesco, di cui è stato stretto collaboratore come prefetto del Dicastero per i vescovi, Prevost si presenta però con uno stile diverso: più sobrio, raccolto, persino timido. Fin dal primo affaccio dalla loggia vaticana, si è distinto per il tono composto, per il saluto liturgico — «La pace sia con tutti voi» — e per l’assenza di gesti confidenziali. Un Papa che parla poco, ma dice molto.
La scelta del nome — Leone — è tutt’altro che casuale. Non si è richiamato a nessuno dei papi recenti: né Francesco, né Giovanni Paolo, né Benedetto. Ha voluto evocare invece una tradizione più antica e solida, da Leone I Magno, il papa che fermò Attila alle porte di Roma, fino a Leone XIII, il pontefice della Rerum Novarum, primo grande testo della dottrina sociale della Chiesa. Un nome che rimanda a forza, coraggio, autorità. E forse anche alla determinazione necessaria per costruire la pace, che non è mai semplice assenza di conflitto, ma «opera di giustizia», come ricorda il Concilio Vaticano II.
Nei segni, Papa Leone XIV ha già tracciato una sua linea: ha indossato la mozzetta rossa e la stola, segni di una maggiore solennità rispetto alla sobrietà di Francesco. È probabile che scelga anche di tornare agli appartamenti papali, ripristinando alcune consuetudini sospese nel decennio precedente. Ma questo non significa un passo indietro: è piuttosto un diverso modo di abitare il ruolo, con maggiore enfasi sul valore istituzionale del papato.
Agostiniano, missionario per oltre vent’anni in Perù, Prevost conosce bene il Sud del mondo. È il primo Papa americano, ma il suo sguardo è globale. La sua spiritualità si nutre della lezione di Sant’Agostino, di cui si è detto “figlio”: una fede che unisce profondità interiore e tensione comunitaria. Il motto scelto da vescovo, In illo uno unum — “una cosa sola in Lui solo” — riassume il cuore della sua visione: essere uniti tra noi guardando a Cristo.
Non è un Papa che ama le luci della ribalta. Ma già in passato ha fatto sentire la sua voce su temi delicati: ha criticato le politiche migratorie dell’amministrazione Trump, opponendosi a ogni tentativo di gerarchizzare l’amore per il prossimo. Il Vangelo, ha ricordato, non ci chiede di stabilire chi venga prima e chi dopo: ci chiede di amare, semplicemente.
Forse non era il nome che ci aspettavamo. Ma forse è proprio il Papa di cui avevamo bisogno: capace di tenere insieme fedeltà e novità, autorità e ascolto, silenzio e forza. Un cuore di Leone per un tempo difficile. E una voce che — ci auguriamo — sappia guidare la Chiesa e parlare al mondo, a partire dalla cosa più semplice e più urgente di tutte: la pace.