Il Pakistan risponde all’Iran Bibi: “Stato palestinese? No”
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La reazione era attesa. E la reazione c’è stata. Dopo i raid compiuti da Teheran contro presunte «basi di militanti» nel Baluchistan pachistano, Islamabad ha risposto colpendo a sua volta «covi di terroristi», secondo quanto reso noto dalle Forze armate del Paese. Secondo i media iraniani, diversi missili hanno colpito il villaggio di Saravan nella provincia iraniana del Sistan Baluchistan, al confine con il Pakistan, uccidendo almeno nove persone. «Un certo numero di terroristi sono stati uccisi durante l’operazione basata sull’intelligence», hanno affermato dal ministero degli Esteri pachistano, descrivendo l’azione come una «serie di attacchi militari di precisione altamente coordinati e mirati contro i nascondigli dei terroristi». «Il Pakistan rispetta pienamente la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica islamica dell’Iran», ha aggiunto il ministero nella sua dichiarazione. «L’unico nostro obiettivo è il perseguimento della sicurezza e dell’interesse nazionale del Pakistan, che è fondamentale e non può essere compromesso».
Perché questa escalation? Perché ora? Perché Teheran ha deciso di aprire un nuovo fronte mentre nella Striscia di Gaza infuria una guerra che rischia di incendiare l’intero Medio Oriente (e non solo)? Si tratta di un conflitto “locale” o qualcosa che per lo spessore gli “attori” in campo – a cominciare proprio dal Pakistan nucleare – rischia di tracimare e trasformarsi in qualcosa d’altro? Quanto pesano le difficoltà interne del regime iraniano in un’escalation in cui resta problematico identificare le vere ragioni? Siamo dentro un processo proteiforme e pericoloso, un nuovo “disordine” mondiale nel quale sono crollate le “dighe” che trattenevano i singoli Paesi ad agire. Una lunga incubazione – basti pensare alla tragedia della Siria – in cui sempre più, gli attori (statali e non) si sentono autorizzati ad intervenire militarmente, in una sorta di ibridazione tra guerra tradizionale e terrorismo.
Difficile poi ignorare la tempistica che accorda questa nuova crisi alle fiamme che stanno avvolgendo lo Yemen, dove anche ieri Usa e Gran Bretagna hanno sferrato nuovi attacchi. Il gruppo
sciita non sembra disposto ad arretrare: prima ha rivendicato un (presunto) attacco a una nave della Marina americana, poi ha ribadito che gli “assalti” nelle acque del Mar Rosso non cesseranno. E dagli Usa il presidente Joe Biden ha ribadito che i raid continueranno finché gli Houthi non fermeranno gli attacchi. In questo mosaico impazzito, l’Iran ha scelto di mostrare i muscoli. Già “ferita” dalla strage dello scorso 3 gennaio quando attentatori suicidi hanno colpito la folla radunata vicino alla tomba del «venerato generale Qasem Soleimani», Teheran ha puntato il dito e alzato gli aerei contro il gruppo terroristico sunnita Jaish al-Adl, colpevole secondo l’Iran, di aver attaccato ripetutamente le forze di sicurezza iraniane nella zona di confine con il Pakistan.
Per il ministro iraniano Abdollahain «il gruppo si è rifugiato in alcune parti della provincia pachistana del Baluchistan. Questo gruppo ha ucciso le nostre forze di sicurezza. Abbiamo preso di mira solo il gruppo terroristico iraniano sul suolo del Pakistan».
Uno stillicidio di attacchi ha “agitato” a lungo la regione. Nel dicembre 2023, dodici agenti di polizia iraniani sono stati uccisi in un attacco a una stazione di polizia a Rask, città vicino al confine con il Pakistan. L’azione portava la firma di Jaish al-Adl. Il 23 luglio dello scorso anno, quattro poliziotti iraniani sono stati uccisi mentre erano di pattuglia vicino al confine, attacco sempre rivendicato da Jaish al-Adl. Teheran accusa il gruppo terroristico, fondato nel 2012 dall’attuale leader Salahoodin Farooqi, di «essere sostenuto da Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti» e di puntare a «destabilizzare il Paese e il suo governo».
In un’intervista Hossein Baloch, portavoce di Jaish al Adl, ha affermato che l’obiettivo del gruppo «è rovesciare il governo iraniano e ripristinare la dignità del popolo iraniano, in particolare dei musulmani beluci e di altri gruppi etnici iraniani, in particolare i sunniti dell’Iran».
Ma l’ambito “locale” non basta a esaurire le ragioni del conflitto. Secondo Ihsanullah Tipu Mehsud, direttore di The Khorasan Diary, un portale di notizie e ricerca che analizza le questioni di sicurezza nella regione, «le azioni iraniane avranno un effetto duraturo e implicazioni sulle relazioni bilaterali, sia nel campo della politica che della sicurezza». Per Kamran Bokhari, direttore senior del New Lines Institute for Strategy and Policy con sede a Washington, gli attacchi aerei iraniani potrebbero spingere il Pakistan a cercare un «maggiore allineamento» con Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia. «Ciascuno di questi Paesi ha interesse ad assicurarsi che l’Iran venga contenuto. L’attacco al Pakistan è solo un elemento di un più ampio confronto iraniano con gli Stati Uniti. Teheran vede il Pakistan come una pedina in questa politica ad alto rischio con Washington».