Sulla legge di bilancio cercherò di chiarire alcuni punti rispondendo a quattro domande.
Primo, è una legge di bilancio pro-crescita? Il deficit pubblico si riduce tra il 2024 e il 2025 di circa 10 miliardi. Dato che il deficit è quello che, di netto (spesa pubblica meno entrate), lo Stato dà all’economia, l’effetto immediato è di togliere qualcosa all’economia, il che frena la domanda e la produzione. Il governo naturalmente dirà che la manovra è espansiva perché, in assenza della manovra, il deficit sarebbe sceso ancora di più (di circa 19 miliardi) per il venir meno delle misure temporanee esistenti quest’anno. Ma resta il fatto che rispetto a quest’anno la legge di bilancio comporta una restrizione. Detto questo, non credo ci fossero alternative. Il nostro deficit doveva calare. Il suo livello (al 3,3% del Pil) è ancora ben più alto di quello pre-Covid (1,6%). Il graduale consolidamento delle nostre finanze pubbliche, peraltro richiesto non solo dalle esigenze di mercato ma anche dalle regole europee sui conti pubblici, verrebbe premiato da una discesa dello spread e dei tassi di interesse e, in generale, da una maggiore percezione di stabilità finanziaria che dovrebbe compensare almeno in parte la restrizione di bilancio. Una postilla: la crescita, quella vera, di lungo periodo la fanno le riforme. E questo richiede la piena implementazione del Pnrr e l’attuazione delle nuove riforme appena delineate nel Piano strutturale di bilancio di medio termine approvato un paio di settimane fa dal governo.
Vedremo.
Secondo, ci sono elementi di incertezza nella manovra? Sì. Il principale riguarda l’andamento delle entrate. Queste sono andate meglio del previsto quest’anno e il governo prevede che vadano ancora meglio il prossimo. Tuttavia, finché non si capisce a cosa è dovuto il miglior andamento del 2024 (e i documenti del governo non lo spiegano adeguatamente), non si può capire se l’ottimismo governativo sia giustificato. Le entrate, per esempio, potrebbero essere state gonfiate recentemente dal fatto che i salari stanno ora crescendo più del Pil, mentre i profitti crescono meno (il contrario di quello avvenuto nel 2022). Visto che le tasse sui salari sono pagate immediatamente, mentre quelle sui profitti comportano uncerto ritardo, lo spostamento di reddito dai secondi ai primi porterebbe a un temporaneo aumento del gettito.
Terzo, la manovra è adeguata in termini di giustizia redistributiva? La manovra rende strutturali i tagli del cuneo fiscale per i redditi bassi, protegge chi ha un Isee più basso dalla riduzione prevista delle agevolazioni fiscali, limita ai contribuenti con Isee basso il bonus per i nuovi nati e ha qualche altro vantaggio per chi si trova in difficoltà (sperando che non siano evasori fiscali). Da questo punto di vista redistribuisce. Se non è una manovra di sinistra è una manovra di destra sociale. Chi ci perde? A prima vista banche e assicurazioni, ma si tratta semplicemente di un “prestito”: la finanza paga un po’ di più nel 2025, in cambio di minori tasse in futuro. Resta invece davvero delusa la classe media (per lo meno quella che non evade e che già sostiene il peso maggiore delle tasse). Ancora rinviata la detassazione di questi contribuenti, promessa da tempo.
Quarto, la manovra è adeguata in termini di uguaglianza di opportunità? Qui manca certamente qualcosa. Due cose mancano per le opportunità: istruzione e sanità. Quest’ultima riceve un po’ di finanziamenti aggiuntivi, ma il rapporto tra trasferimenti al servizio sanitario nazionale e Pil resta ancora molto basso, dopo i tagli reali causati dall’inflazione del 2021-22. Quanto all’istruzione, non si fa quasi nulla. Di positivo c’è solo il sostegno per l’accesso agli asili nido. Ma occorreva fare di più per un settore così importante sia per dare a tutti un’opportunità nella vita, sia per aiutare l’Italia a crescere più rapidamente: alla fine sono le persone che fanno crescere il Pil e il “capitale umano” (come lo chiamano alcuni) deve essere alimentato da istruzione, cultura e formazione. Redistribuire come fa il governo aiuta nell’immediato, ma solo la crescita economica può davvero sconfiggere la povertà. Aggiungo un ultimo punto. Temo, anche se occorrerà vedere le “pieghe di bilancio”, che ancora una volta si sia trascurata le spesa per la ricerca. Destra o sinistra che sia al governo, non investiamo abbastanza in quello che, anche in questo caso, può davvero fare la differenza nel lungo periodo.