MOSCA — Lo storico scambio di prigionieri tra Russia e Occidente, mai visto per numeri e ampiezza geografica neppure durante la Guerra Fredda, è la prova che un canale tra Mosca e Washington c’è e può funzionare. Anche nel momento storico più basso dei loro rapporti seguito all’offensiva russa in Ucraina, Joe Biden e Vladimir Putin sono riusciti a raggiungere un accordo allargato anche a Germania, Norvegia, Slovenia e Polonia. Ancora una volta con la mediazione della Turchia di Recep Tayyip Erdogan che già si era fatta promotrice dei negoziati a Istanbul tra Mosca e Kiev nel marzo 2022 e poi dell’accordo che ha consentito per un anno il passaggio sicuro nel Mar Nero delle navi ucraine cariche di grano. Quanto questo scambio possa aprire spiragli su futuri negoziati per porre fine al conflitto in Ucraina è però tutto da vedere.
Per alcuni osservatori il Cremlino ha visto un’opportunità per “isolare Kiev” dimostrando che può negoziare direttamente con la Casa Bianca, ma l’Occidente ha ribadito più volte che non può esserci un accordo sull’Ucraina senza l’Ucraina. Un ruolo importante lo ha giocato, e potrebbe giocarlo, il fattore tempo. La morte in carcere di Aleksej Navalny lo scorso febbraio aveva già reso più urgente per Usa ed Europa la necessità di strappare a un simile destino uomini e donne detenuti ingiustamente nelle carceri russe. Avendo rinunciato a ricandidarsi, Biden voleva inoltre concludere il suo mandato potendo rivendicare di aver riportato a casa il reporter delWall Street Journal Evan Gershkovich, la giornalista diRadio Free Europe Radio Liberty Alsu Kurmasheva e il marine Paul Whelan a dispetto di Donald Trump che aveva detto che «non ci sarebbe mai riuscito» e che al posto suo avrebbe ottenuto il loro rilascio in poche ore.
Anche Putin voleva chiudere l’accordo prima delle elezioni statunitensi di novembre per non correre il rischio che tutta la laboriosa e complessa tela diplomatica che aveva coinvolto ben sette Paesi (Russia, Bielorussia, Stati Uniti, Germania, Slovenia, Norvegia e Polonia) potesse disfarsi. Almeno stando alla ricostruzione del team di Navalny e delWall Street Journal e alle parole di ieri di Washington, già una volta aveva visto sfumare l’accordo che gli avrebbe riportato indietro il “killer del Tiergarten” di Berlino Vadim Krasikov in cambio dell’oppositore poi morto in carcere. Non voleva che accadesse una seconda volta. Per forzare la mano della Germania, riluttante come ha ammesso a lasciare andare l’assassino di un ceceno-georgiano a cui aveva dato asilo, ha mobilitato anche l’alleato bielorusso Aleksandr Lukashenko che, con la condanna a morte del tedesco Rico Krieger, gli ha offerto l’asso mancante per chiudere la partita.
Il vincitore è indubbiamente Putin. Ha ottenuto indietro Krasikov e altri sette “patrioti”, come li chiama, che non finiranno di scontare la loro pena. In cambio ha rilasciato occidentali ingabbiati come merce di scambio come Gershkovich e scomodi oppositori come Jashin e Kara-Murza che l’obbligato esilio indebolirà. Lo scambio dà anche a Putin il destro per screditarli come “agenti stranieri” al soldo di quegli Stati che oggi ne hanno ottenuto la liberazione.
Molto si dirà su Biden che, dopo aver barattato il trafficante d’armi Viktor But per la cestista statunitense Brittney Griner, ha sottratto alla giustizia otto criminali in cambio di dissidenti e giornalisti detenuti ingiustamente. Crea di certo un ulteriore pericoloso precedente. Forte dell’assenza di uno Stato di diritto, Putin sa che può trasformare dall’oggi al domani innocenti in pedine. Nelle sue carceri ha ancora carte da giocare come il giornalista Ivan Safronov o le drammaturghe Evgenia Berkovich e Svetlana Petriychuk.
Biden e l’Occidente tutto, però, ne escono vincitori morali.
Hanno negoziato non solo per i loro cittadini, ma anche per i detenuti politici russi dimostrando quanto vale per le nostre democrazie la vita di uomini e donne che hanno lottato per la verità a costo della loro libertà.