TO BEND THE EAR OF THE OUTER WORLD
30 Maggio 2023L’anno zero del Pd di Schlein
30 Maggio 2023
di Masssimo Franco
È un risultato che sarà letto con lenti europee, oltre che italiane: tanto più dopo la vittoria delle destre anche in Spagna. E il lungo colloquio di ieri a Arcore tra Silvio Berlusconi e il capo della Lega, Matteo Salvini, ha avuto a che fare solo marginalmente con il voto amministrativo. C’è da scommettere che il vero argomento siano state le elezioni del 2024 in Europa: tema al quale entrambi sono molto sensibili. Berlusconi, come leader di un partito che aderisce al Ppe; Salvini, perché finora è stato o si è confinato nel gruppo di estrema destra escluso da ogni incarico. Sapere che la Lega ha dato «pieno mandato» al suo numero uno «per incontri a 360 gradi» è emblematico. Lascia capire che magari non ci saranno strappi rispetto all’attuale collocazione europea. Ma in parallelo Salvini cercherà sponde che gli permettano di avere un ruolo futuro: soprattutto se il voto del prossimo anno sancisse la rottura tra Ppe e socialisti, creando un asse tra popolari e conservatori: il sogno proibito e tuttora in sospeso di Giorgia Meloni. Difficile dire se il dialogo tra Berlusconi e Salvini punti al contenimento della premier e del suo partito, tentato inutilmente anche in Italia; o se preveda un gioco delle parti. Di certo, il progetto di costruire «un centrodestra alternativo alla sinistra» è un obiettivo comune. Sui suoi equilibri interni e sul ruolo di ogni forza della destra, però, la competizione è aperta. Da una parte, l’aggressione russa all’Ucraina ha sbriciolato il cosiddetto «fronte sovranista»; e il «gruppo di Visegrad» che ne era la proiezione politica. L’intesa in chiave anti-Ue di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria non c’è più: sono saltate sulla politica estera. La Polonia è l’avanguardia della Nato in Europa orientale; l’Ungheria di Viktor Orbán è percepita come longa manus di Vladimir Putin nello stesso recinto geopolitico. La strategia del governo italiano punta a certificare nel 2024 lo spostamento a destra di tutto il Vecchio Continente, e a trarne le conseguenze in termini politici e culturali. Ma sull’atteggiamento verso la Russia potrebbero affiorare nell’esecutivo di Meloni le stesse contraddizioni che hanno spaccato il «gruppo di Visegrad». Nei confronti della Nato e dell’Ucraina le posizioni di FdI, Fi e Lega sono unite a livello di voti parlamentari. Divergono però nei toni e sulla prospettiva. Se questo finora non ha avuto conseguenze si deve in primo luogo all’esigenza di lealtà verso l’Alleanza atlantica, che non consente smarcamenti. E insieme alle ambiguità delle opposizioni, che riflettono e amplificano i distinguo sul conflitto, condannandosi all’irrilevanza: perfino quando criticano la confusione vistosa del governo sul Piano per la ripresa.