In un suo breve scritto autobiografico, la ragione di tale primato l’ha individuata in un mix di caso, fortuna e ostinazione. Io, che ho avuto l’onore di vivergli accanto, aggiungerei che il nascere con un quoziente intellettivo superiore alla norma – pur se nato settimino – ha fatto la differenza. Certo che la sua potente forza vitale, che non è mai venuta meno, si era fatta sentire anche nel ventre di sua madre Emilia, detta Titina. Il nascituro Vanni doveva aver capito che era inutile perdere tempo e che a sette mesi era già dotato di tutto quello che gli sarebbe servito nella vita, per essere un finissimo intellettuale, un grandissimo professore, un innovatore nella scienza politica, per tessere relazioni internazionali di altissimo livello e in più essere un grande sportivo, un ballerino provetto e last but not least un tombeur de femmes. Un uomo larger than life direbbero gli inglesi.
Dalla sua aveva una madre di origine belga, con la quale parlava francese; un padre, Dante, che conosceva il tedesco e in più una nanny inglese. Quindi il ragazzino si ritrovò equipaggiato fin da piccolo di quattro lingue. Pur nato in una famiglia agiata, avvertì gli echi di due guerre, quella in Abissinia e quella civile in Spagna; conobbe le asprezze del fascismo e quelle della Seconda guerra mondiale, che lo vide disertore, essendo stato chiamato alla leva nell’ottobre del ’43. Si nascose prima in campagna e poi nella soffitta di uno zio a Firenze, dove per ingannare il tempo (10 lunghi mesi), si mise a leggere Hegel, Croce e Gentile. Letture leggere insomma. Lui stesso ricorda che dopo aver decifrato una decina di pagine di Hegel la giornata era passata ed era pronto per un sonno riparatore.
Finita la guerra, Sartori si laurea in Scienze politiche e sociali all’Università di Firenze nel novembre del 1946. Data la sua dimestichezza con la filosofia, nel 1950 gli viene assegnata la cattedra di Storia della filosofia moderna. Ma nel frattempo aveva vinto una borsa di studio postdottorato a New York. Certo che il mondo che gli si parò davanti, quello della New York post-bellica, carica di fermenti e di voglia di vivere, era uno scenario ben lontano dall’Italietta provinciale e uscita distrutta dalla guerra.
Subaffittò uno stanzone da un pittore; il più infimo degli alberghi costava 7 dollari e non poteva permetterselo. Assaporò le pene e la gioia di essere un giovane uomo autosufficiente, senza gli agi familiari ma con intorno un’atmosfera fremente di vita. Mi raccontava che in fumosissimi locali della 42° strada, ascoltava i grandi del jazz, che allora grandi non erano ancora ma dotati di enorme talento (come lui). Vanni annusò tutti questi fermenti, in particolare quelli riguardanti la scienza politica. Quella nuova disciplina, in grado di produrre un sapere empirico e applicabile, era quanto di più lontano si potesse trovare all’epoca nell’ambiente intellettuale italiano.
Tornato in Italia, nel ’56 riuscì a far inserire quella nuova disciplina come materia a sé stante nella Facoltà di Scienze politiche di Firenze e, come professore incaricato, si trovò ad insegnarla tra il sospetto di tanti, compreso il suo amico Giovanni Spadolini. Ma Sartori era galvanizzato dal poter essere un pioniere e nel ’63 divenne il primo e unico professore ordinario di Scienza politica in Italia.
L’impegno di Sartori per costruire le basi della nuova disciplina si poggiò su tre pilastri: la teoria politica pura; lo studio metodologico (cioè il metodo del logos, del ragionare); la politica comparata.
È del 1957 il primo libro di Sartori che riscosse l’immediato interesse dei suoi contemporanei in Italia e all’estero: Democrazia e definizioni. Un successo che valse ben dieci riedizioni.
Per lui, fu molto importante essere attivo nel contesto internazionale attraverso i congressi dell’Associazione Internazionale di Scienza Politica, diventando amico di altri giovani pionieri quali Marty Lipset, Juan Linz, Stein Rokkan, Hans Daalder e soprattutto Robert Dahl. Raymond Aron, il fiero filosofo antimarxista, nel ’59 lo invitò ad un ristretto convegno sulla Guerra Fredda, e Sartori si ritrovò accanto Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica.
I tre testi fondamentali di Sartori (Parties and Party Systems: A Framework for Analysis – 1976; The Theory of Democracy Revisited – 1987; Ingegneria costituzionale comparata – 1994) sono tuttora adottati nelle università e tradotti in tutte le lingue. Ha insegnato nelle più prestigiose università americane: Stanford, Yale e Columbia. Ha ricevuto 9 lauree honoris causa e importanti premi e riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio Principe delle Asturie. Dal 1994, ritiratosi dall’insegnamento, è diventato un intellettuale pubblico, scrivendo editoriali, libri sull’ecologia, un libro (Homo Videns) che preconizza il mondo che stiamo vivendo dove l’immagine (il vedere) annienta la parola (il sapere). Ha partecipato, con incisività e chiarezza, a dibattiti televisivi che lo hanno reso popolare. Non si è mai legato a un partito e questo ha fatto sì che non ricevesse gli onori che invece avrebbe meritato.
Proprio quest’anno ricorre il suo Centenario. Cercando sul web, si trova un decreto del Ministero dei Beni Culturali che istituisce un apposito Comitato promotore per le celebrazioni, con tanto di fondi a supporto. Ma ad oggi nulla è stato fatto. Al Comitato partecipano allievi ripudiati, sedicenti allievi, giuristi raccattapoltrone e vari altri intrusi. Nulla fanno. Pare che se ne occuperanno nel 2025, ora forse hanno di meglio da fare. Caro Sartori, meritavi di più e di meglio. Ma come diceva quel tale, fiorentino come te: non ragioniam di lor, ma guarda e passa.