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18 Ottobre 2023Medici di famiglia un altro flop bando per 203 posti, solo 51 domande
18 Ottobre 2023
Giorgio Giovannoni se n’è andato sabato scorso. Come un altro Giorgio, il sindaco La Pira, per il quale aveva lavorato come «ministro degli esteri della Repubblica fiorentina», ha concluso il suo cammino terreno in un sabato senza tramonto che tuttavia ha un valore singolare per la città. Nei giorni in cui l’odio e la violenza tornano a bagnare col sangue la terra di Gesù, Firenze ha avuto come un sussulto di coscienza. La proposta di Paolo Ermini sulle colonne del Corriere Fiorentino, accolta dal sindaco Nardella e fatta propria da figure come l’abate di San Miniato, si radica in un modo di essere della città che fa parte dell’eredità politica e culturale della stagione lapiriana e che Giovannoni ha contribuito a plasmare da protagonista. Richiamarsi a quella stagione in questo passaggio storico non è un semplice esercizio di memoria. La costruzione di una diplomazia delle città e delle fedi che La Pira portò avanti come sindaco di Firenze ha infatti inciso in profondità nella natura stessa della città e lasciato segni visibili e vivi. E la parabola politica di un personaggio come Giorgio Giovannoni aiuta a cogliere tutto questo. Gli sforzi di riunire assieme arabi e israeliani e di tessere la trama di un dialogo fra i blocchi contrapposti della guerra fredda negli anni in cui il confronto era più duro non è stato solo utopia o idealità. Vi era, al contrario, una lucida consapevolezza della realtà delle cose, radicata nella scelta di vivere fino in fondo la storia a cui si apparteneva .
Quel Novecento così lacerato dalla violenza e però anche tempo di aspirazioni alla giustizia e alla libertà. Lo sforzo di quell’approccio fu nel segno della ricerca della verità: non per individuare colpevoli, ma per cogliere le ragioni profonde dei conflitti e al tempo stesso portare alla luce delle coscienze gli elementi su cui è possibile edificare l’unità. Così, la chiave di volta dei dialoghi mediterranei fu il richiamo alla comune famiglia abramitica non per motivi esclusivamente religiosi, ma perché in La Pira e Giovannoni vi era la consapevolezza del fatto che l’autentica esperienza di fede è chiamata ad un esercizio di fraternità verso ogni essere umano. Vi era cioè la consapevolezza del potenziale politico che le religioni possono esercitare sulla sfera pubblica, come fattore di unità della famiglia umana e punto di equilibrio fra le diversità di culture e convinzioni. Pur a distanza di decenni e dopo che Firenze e la Toscana hanno conosciuto stagioni politiche e culturali molto diverse da quella lapiriana, le iniziative di questi giorni dimostrano la lungimiranza di quella semina. Che certo oggi non può e non deve essere una mera replica: troppo diversi sono i tratti della cornice storica in cui ci troviamo. Il nodo è piuttosto quello di farsi carico di un metodo che è pienamente politico, ossia il metodo di una ricerca comune di ciò che ci fa esseri umani e di quel senso profondo di fraternità che è nel cuore dell’uomo. Alla Firenze di oggi, che cerca di essere luogo di incontro e di dialogo, la Firenze di Giovannoni e La Pira consegna dunque una disciplina dell’agire e del pensare politico che si fa gesto, parola e opera. Gli eventi tragici di questi giorni e il sussulto che nella città prende forma sono il segno di un orizzonte che si apre, nel quale ritrovare il senso e l’importanza di essere una città dalle porte aperte, un luogo dello spirito in cui le culture, le fedi, le convinzioni più diverse trovano non solo una casa, ma il senso profondo della comune umanità.