Di vita e di guerra: le vittime invisibili
20 Luglio 2023Abuso d’ufficio, la destra boccia la direttiva europea
20 Luglio 2023
di Massimo Franco
La grazia concessa dal presidente egiziano Al Sisi allo studente Patrick Zaki può rivelarsi un antidoto alle tensioni di queste settimane. Oscura le polemiche sui rapporti tra governo e magistratura in Italia che hanno avvelenato la politica. E offre a Palazzo Chigi un risultato atteso da anni, che le stesse opposizioni riconoscono: anche se con congratulazioni suddivise tra l’esecutivo di Giorgia Meloni e del predecessore Mario Draghi. La premier sperava che dopo la condanna confermata l’altro ieri arrivasse un gesto dal Cairo.
E ora la soddisfazione è comprensibile. L’esito sofferto di una vicenda intricata rilegittima indirettamente il peso politico dell’Italia nel Mediterraneo. E potrebbe distendere le relazioni diplomatiche con un Paese strategico negli equilibri mediorientali. A lungo i rapporti con l’Egitto sono stati in bilico non tanto per il processo a Zaki ma per l’assassinio del ricercatore Giulio Regeni: un delitto perpetrato dai servizi segreti egiziani, senza che i responsabili siano stati mai processati. Quella ferita rimane aperta.
Ma quanto è accaduto può renderla meno dolorosa, almeno momentaneamente. Si aggiunge al «via libera» che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha dato ieri al disegno di legge del ministro della Giustizia, Carlo Nordio: un «sì» previsto, anche se pensare che cancellerà i problemi posti dalla riforma sarebbe illusorio. La visita della premier in Sicilia per ricordare la strage di mafia nella quale furono uccisi il 19 luglio del 1992 il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta ha messo alcuni punti fermi. Ma non si capisce se lo siano per l’intera maggioranza.
Il primo è che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non verrà toccato. «Non c’è e non c’è stato nessun provvedimento su questo», ha precisato Meloni. Quanto ai giudizi controversi di Nordio su quel reato, li ha difesi spiegando che era stata solo «la risposta di un magistrato a una domanda». Il secondo punto fermo riguarda l’intreccio tra FI e la famiglia di Silvio Berlusconi. La figlia maggiore, Marina, aveva scritto una lettera aperta che accusava la magistratura di perseguitare il padre anche da morto.
Ma la premier ha spiegato di non potere «considerare Marina Berlusconi un soggetto della coalizione, nel senso che non è un soggetto politico». Insomma, ha fatto capire a FI che non asseconderà un’agenda suggerita dall’esterno. Non è chiaro se e quanto ci riuscirà. La senatrice berlusconiana Licia Ronzulli insiste nel criticare il reato di concorso esterno anche dopo la precisazione della premier. «Se esiste solo in Italia», ribadisce Ronzulli, «evidentemente è una stortura». Tema spinoso, destinato a accompagnare il percorso della riforma.