Il commento
di Sergio Risaliti
Firenze è una città in veloce trasformazione. Ne sono una riprova le tante cose fatte e quelle da fare. Corriamo però un duplice rischio: diventare una città “colonizzata” da capitali stranieri, affondare definitivamente nel turismo di massa. Che cosa possiamo fare? Il sindaco Nardella ha messo al centro dell’agenda politica la sostenibilità e i linguaggi contemporanei, aggiungendo però, alla produzione di grandi eventi e di forte richiamo, i temi della formazione e del sostegno al talento, oltre a quello delle residenze per giovani studenti e nuove famiglie. Ne esce l’immagine di una città alternativa a quella che sembrano prospettarci logiche di sviluppo basate essenzialmente su rendita di posizione e turismo di massa.
È necessario anche un cambio di prospettiva rispetto ai codici con i quali agiamo in termini di conservazione e innovazione. E mi spiego.
Quando pensiamo conservazione e innovazione strettamente a servizio e tutela della culla del Rinascimento riduciamo il valore delle stesse azioni e alimentiamo la contrapposizione. Quando quella stessa dialettica — tra spinte opposte — viene considerata un fattore propulsivo al centro di una città laboratorio, allora si può trovare un punto di equilibrio liberando nuova energia senza fratture. Ma ciò è possibile solo liberandosi di una concezione statica e vacuamente idealistica del passato per un’apertura coraggiosa verso il presente. Penso a una Firenze neo rinascimentale e per questo sempre più attrattiva come incubatrice di avanguardie, in cui la qualità della vita, la spinta creativa e la tutela della bellezza convivono perché generati da un insieme di fattori che coniugano conservazione e sostenibilità, ricerca e innovazione, recupero e rigenerazione, assieme a stimoli continui che nascono dal confronto e dialogo con il passato e lo scambio conesperienze internazionali e contemporanee. Le ultime dichiarazioni della soprintendente Antonella Ranaldi vanno in questa direzione, e ci fanno capire che è finito il tempo del conservatorismo più ideologico per una nuova forma di dialettica che punta su conoscenza e trasformazione, sulla corretta lettura tanto del contesto storico e artistico, quanto sulle mutate condizioni e necessità di una città che, facendo leva sulla sua tradizione umanistica, è pronta al confronto con l’attualità pur restando un modello universale di città patrimonio dell’umanità. Ciò significa ripartire dal senso di responsabilità storica cui erano devoti gli uomini del primo rinascimento che sapevano come dosare culto del passato e curiosità contemporanea, appassionata filologia e coraggiosa sperimentazione. Ci sono ancora delle criticità che, se non governate, potrebbero spostare il baricentro verso una irrimediabile mercificazione della città.
Superata la crisi pandemica il treno del turismo è ripartito.
Una mostra, un museo si fanno notare per i numeri da record che esibiscono ai media. Si perseguono algoritmi perfino nella programmazione scientifica e culturale. Così si genera una coazione a ripetere che tende a moltiplicare in senso esponenziale le masse dei turisti e a rendere appetibile Firenze sul mercato immobiliare di lusso, con una doppia contrazione di tempo e spazio. Costretta tra queste due sponde che fine farà la città del Rinascimento, quando per rinascimento s’intenda la stagione della responsabilità e della sperimentazione, e che fine faranno la città dei cittadini e quella dei giovani talenti? Sarà Firenze sempre più aperta, ospitale e inclusiva? Serve un atto di coraggio e l’area ex Ogr destinata all’arte contemporanea lo è.