Nel 57° Rapporto, il Censis parla di una società pressoché inafferrabile, ambivalente e contraddittoria nei suoi caratteri e umori. Parafrasando Mao Tse-Tung, le «contraddizioni in seno al popolo», almeno per ora, non hanno trovato una «giusta soluzione». Quali contraddizioni? Di essere una società preoccupata per l’immigrazione e quasi niente affatto dell’emigrazione dei suoi giovani. Di invecchiarsi e di marginalizzare le nuove generazioni, a dispetto della loro maggiore istruzione e della minore numerosità che in passato.
Di essere egoistica, atomistica, pessimista, una società-sciame che si disperde, ma, al contrario che nello sciame di Byung-Chul Han, si ricompatta, come è accaduto durante il covid e subito dopo, con una vibrante ripresa. Una società ricca, anche di vestigia del passato che attraggono turisti – mai così in tanti – e, al contempo, una società con persistenti arretratezze, invecchiata, intorpidita. Il Censis quest’anno l’ha definita una società di sonnambuli, che dorme da sveglia, che manca di consapevolezza e subisce, impaurita e pessimista, le crisi da globalizzazione. Il 57° Rapporto descrive con minuzia le contraddizioni in seno alla società e alla sua classe dirigente, un lungo elenco che rende la società italiana indecifrabile: perché liquefatta nell’individualismo, secondo Bauman, perché crescentemente complessa, secondo gran parte della sociologia accademica.
Il Censis ha scelto di osservarla nella pluralità delle sue sfaccettature, definendola, di volta in volta, come società del rancore, società “senza” e, oggi, società sonnambula. La rappresenta come una società che ha perso serenità, schiacciata da eventi e rovesci improvvisi come quelli climatici e geofisici (alluvioni, terremoti), sociosanitari (il covid, il negazionismo), militari, con le guerre alle porte d’Europa. È una società che si misura con un’atmosfera d’incertezza diffusa, la quale, come sottolineava Frank Knight, non è misurabile e prevedibile come il rischio, perché l’incertezza dipende dall’esercizio del giudizio umano nell’adottare decisioni, che possono rivelarsi errate.
Il sonnambulismo della società del Censis è quindi dovuto all’incertezza che opacizza la via delle decisioni su problematiche di lungo respiro. Crea l’immobilismo gattopardesco della classe politica che non prende decisioni: in tempi di forte incertezza, ha paura di sbagliare e sceglie la strada ordinaria di non decidere su grandi questioni, pur di durare. È la stessa classe politica che non sa alimentare l’immaginazione sociale, che, al contrario, è indispensabile quando la società è impaurita da cambio del clima, migrazioni, contagi e guerre e pensa un futuro peggiore.
Questo schema interpretativo delle “cose che accadono” nel Paese, lascia spazio ad alcune osservazioni. Ne citerei un paio. La prima: una società sonnambula, in preda all’incertezza, ha anche poca lucidità nel far fronte alle grandi sfide del Paese. Il Censis sottolinea in particolare le varie schegge della ”bomba demografica”, ma, la presentazione del Rapporto ha troppo sorvolato sulla tecnologia, l’altra sfida con cui il Paese si rapporta senza la dovuta attenzione e adeguato fuoco d’investimenti economici e sociali. Per altro, è intuitivo quanto possa essere di aiuto la tecnologia a una società invecchiata e con popolazione attiva in declino.
In secondo luogo, il sonnambulismo della società è il frutto avvelenato dell’indebolimento del concetto stesso di società come dimensione centrale esistenziale per le persone d’oggi. La società è come il lavoro: senza essere oggetto di rifiuto, entrambi non sono più considerati baricentro esistenziale. Del resto, la crisi di campi collettivi rilevanti come la famiglia, le classi, i partiti, i corpi intermedi segnalano un declino dell’uomo pubblico da cui la società è stata risucchiata nel mondo delle “piccole cose” quotidiane. Parte della società si è trasferita sui social, nella network society governata da algoritmi e intelligenza artificiale, parte si è dispersa. La diffusione di una cittadinanza passiva, al tempo stesso astensionista e conformista, ha incarnato il tramonto della partecipazione nell’arena pubblica e sociale. Manca il soggetto sociale come ha affermato Touraine.
Non per questo la società è interpretabile solo grazie alla “gabbia dei numeri”, come fosse una somma di individui e non di persone e comunità relazionate. Altrimenti, continueremo a coltivare il dubbio umorale se nel sociale il bicchiere sia mezzo vuoto o mezzo pieno, senza fare progressi nell’immaginare la società che cambia.