Lunedì sera, alle 18, Giorgia Meloni parteciperà alla riunione informale dei membri del Consiglio europeo che avvierà, di fatto, le trattative per i top jobs, gli incarichi apicali dell’Unione europea: dalla presidenza della Commissione, del Consiglio e del parlamento europeo alla nomina dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue. La speranza dei capi di stato e di governo è di trovare una soluzione rapida e indolore. E colloqui informali si sono già svolti nei giorni scorsi.
Il G7 a guida italiana è stato sicuramente un’occasione per sondare gli umori dopo le elezioni che hanno indebolito il motore franco-tedesco dell’Unione. Concludendo la due giorni di Borgo Egnazia, Meloni ha cercato di mostrarsi forte rivendicando un summit che, nella sua narrazione autocelebrativa, è stato «un successo senza timori di smentita».
L’impressione però, come spesso accade, è che la realtà sia molto distante dalla propaganda. Certo, la premier italiana, a differenza di Emmanuel Macron e Olaf Scholz, è uscita rafforzata dall’appuntamento elettorale.
Ma non basta. Non a caso, nella conferenza stampa conclusiva del G7, Meloni ha chiesto, non escludendo un appoggio al secondo mandato di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, che all’Italia «venga riconosciuto il ruolo che le spetta in termini di competenze dei commissari e che l’Europa comprenda il messaggio arrivato dai cittadini europei». Un avvertimento che sembra piuttosto una dichiarazione di debolezza.
Dopotutto Scholz è stato chiaro. Per lui la premier italiana rappresenta «l’estrema destra dello spettro politico». Il cancelliere tedesco non ha alcuna intenzione di costruire maggioranze diverse da quella che ha sostenuto von der Leyen nell’ultima legislatura: «Spero che per la nuova presidenza della Commissione si possa far affidamento sui tradizionali partiti democratici, i conservatori del Partito popolare europeo, i socialisti e i liberali». E tanti saluti a Meloni.
Non a caso, complice anche le polemiche con Macron che hanno caratterizzato il G7, la presidente del Consiglio italiana è stata esclusa dall’incontro tra il cancelliere tedesco, il presidente francese e von der Leyen che si è svolto a margine del summit.
STRATEGIA SBAGLIATA
Certo, non è un segreto che, da quando è arrivata a palazzo Chigi, Meloni abbia investito molto nel rapporto personale con von der Leyen. Ma la strategia, almeno per ora, non sembra aver dato frutti. Non fosse altro perché la presidente uscente della Commissione non può prescindere da ciò che decideranno Germania e Francia.
Non solo, anche la scelta di giocarsi il tutto per tutto sull’immigrazione, potrebbe rivelarsi un boomerang. La premier ha celebrato con entusiasmo il fatto che i grandi della Terra abbiano accolto «con favore il Piano Mattei lanciato dall’Italia», tanto da inserirlo nel testo delle dichiarazioni finali del vertice (da cui è stata invece “sbianchettata” la parola “aborto”, con successiva reazione piccata di Macron) e si è detta «particolarmente fiera» anche per aver inserito, per la prima volta, un’azione di «coordinamento» sulla lotta contro i trafficanti di esseri umani, senza però ottenere impegni concreti dagli alleati del G7.
Inoltre ha trascorso la mattinata di sabato a discutere di Piano Mattei con il presidente della Banca mondiale, Ajay Banga, e con quello algerino, Abdelmadjid Tebboune (ha visto anche il canadese Justin Trudeau e il brasiliano Lula mentre il giorno prima aveva incontrato Joe Biden). L’impressione, però, è che il tema delle migrazioni non sia così centrale negli equilibri della “nuova” Europa che sta per nascere.
Anche l’essere riuscita a portare a Borgo Egnazia papa Francesco, una novità per il gruppo dei sette, non sembra aver particolarmente rafforzato la premier davanti ai leader europei. Così oggi Meloni si presenta a Bruxelles accompagnata dal suo “mal d’Africa” e poco altro.
Sullo sfondo resta la partita dei 50 miliardi di dollari che serviranno a sostenere Kiev. Il G7 ha deciso che il prestito verrà finanziato attraverso gli interessi degli asset russi congelati dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022.
Ma la decisione era già stata presa a monte ed è sicuramente frutto del pressing degli Stati Uniti più che delle capacità italiane. Non solo, mentre Meloni (lo ha fatto anche ieri), assicura che il nostro paese è e resta al fianco di Kiev, è difficile non sottolineare che della maggioranza di governo fa parte la Lega di Matteo Salvini, sempre sensibile ai richiami di Mosca.
Insomma, non sarà facile per la presidente del Consiglio ottenere il riconoscimento del ruolo che, secondo lei, spetta all’Italia «in termini di competenze dei commissari». E forse non è un caso che il leader del Vecchio continente con il quale Meloni sembra avere il legame più forte è Rishi Sunak. Che guida un paese fuori dell’Unione e si prepara a incassare una sonora sconfitta alle elezioni anticipate del 4 luglio.