Alcuni giorni fa Marco Tarquinio, già direttore di Avvenire , il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, candidato indipendente nelle liste del Pd per il Parlamento europeo, ha dichiarato: «Bisogna sciogliere la Nato e fare finalmente un’alleanza tra pari Europa-America.
Non si fa in un giorno ma bisogna farlo». Diversa è la linea ufficiale del Pd e, tuttavia, la posizione di Tarquinio è due volte legittima.
Innanzitutto, perché in un partito moderno all’interno di un sistema democratico la pluralità delle opzioni e degli orientamenti deve essere la più ampia; e poi perché le idee di Tarquinio sono condivise da una parte significativa dei militanti e degli elettori del centro-sinistra.
Per altro l’opinione di Tarquinio si colloca all’interno di una nobile corrente della cultura cattolica del Secondo Dopoguerra che va da Giuseppe Dossetti a Giorgio La Pira e che emerge periodicamente fino ai nostri giorni, tanto più quando — come oggi — risulta assai intensa la vocazione “pacifista” dell’attuale pontificato.
Dopo di che, il merito è tutto da discutere. E il contesto è particolarmente articolato. Una cara amica, Ginevra Bompiani, candidata nella lista Pace Terra Dignità, mi dice che è la Nato a boicottare «i tre tentativi di negoziato» voluti dalla Russia; e aggiunge che, dopotutto, Volodymyr Zelensky non è meglio di Vladimir Putin. Bompiani è persona assai raffinata, ma quella stessa comparazione condivisa diffusamente da moltissimi cittadini italiani ed europei può produrre disastri. E una rovinosa amnesia politica e storica. L’Ucraina, che non è nella Nato, è una democrazia deficitaria, piena di contraddizioni e di tentazioni illiberali, già prima dell’invasione russa.
E personalmente non riesco a dimenticare che si deve alla Guardia nazionale di quel Paese l’uccisione del giovane fotoreporter Andrea Rocchelli.
Ma è una democrazia, pur se stenta e claudicante: la sua superiorità giuridica, politica e morale rispetto alla Federazione russa è un dato inconfutabile. D’altra parte, sconcerta il fatto che la figura di Putin, despota di un regime totalitario da un quarto di secolo, sia così tanto apprezzata da alcune componenti della sinistra: così come da tanti cristiani fondamentalisti, neofascisti e neonazisti, comunisti di destra, intellettuali autoritari e giustizialisti, diplomatici frustrati, No Vax, veggenti e predicatori vari. Tutte persone che dai sistemi democratico rappresentativi sono stati cresciuti e imbellettati e che replicano: e allora la Democrazia Cristiana? E allora Berlusconi?
Tutto ciò per dire che dietro la discussione sulla Nato, sulla sua sopravvivenza (Macron aveva parlato di stato comatoso) e sulle sue prospettive, si profila una grande questione di libertà e di futuro delle democrazie.
Ma facciamo un passo indietro, nel 1976, il segretario del Pci Enrico Berlinguer, in una intervista alCorriere della Sera , dichiarava di «non voler mettere in discussione» il Patto Atlantico e che si sentiva «più sicuro stando di qua». E alla domanda di Giampaolo Pansa: «Lei mi sta dicendo che il socialismo nella libertà sarebbe più realizzabile nel sistema occidentale che in quello orientale?», spiegava: «Sì, certo. Il sistema occidentale offre meno vincoli. Però, stia attento.
Di là, all’Est, forse vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all’Ovest, alcuni non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo, anche nella libertà».
Sono parole notissime, sulle quali si sono scritti volumi e, tuttavia, meritano di essere ancora approfondite. Berlinguer ragionava sulla base di una puntuale disamina dei rapporti di forza e delle relazioni tra i due blocchi, ma non esitava a indicare al suo partito una peculiare prospettiva (il socialismo nella libertà). Soprattutto va notata, a mio avviso, quella scandalosa dichiarazione: «Mi sento più sicuro…», perché in realtà non ha nulla di scandaloso: se non per le menti intorpidite dalla pigrizia intellettuale e politica. Il segretario del Pci non esalta affatto il ruolo della Nato (e come potrebbe), consapevole che la storia di quella alleanza è fatta anche di soperchierie e crimini, ma ne evidenzia la necessità in quella fase storica e in quel quadro internazionale.
Da allora è passato quasi mezzo secolo. Il mondo è totalmente cambiato e i rapporti tra gli Stati si sono fatti, se possibile, ancora più complessi.
Siamo, soprattutto, in un pieno di guerre: quelle nel nostro cortile di casa e quelle remote e invisibili. Il che rende indispensabile che la sinistra italiana ed europea riprenda la discussione sulle alleanze internazionali non limitandosi alla riflessione geo-militare, ma considerando la dimensione culturale e valoriale che le è sottesa: ovvero come la crisi delle democrazie imponga non meno, bensì più condivisione di una strategia di difesa.
Tanto più se si tiene conto che oggi l’Europa non è solo un’idea o una retorica. È tragicamente irrisolta e inadeguata, ma non è impossibile lavorare nella prospettiva, per quanto lontana, di una federazione di Stati. Ai fini di questa, sarà cruciale la realizzazione di una difesa e di un esercito comuni. È qui che la discussione sulla Nato, tanto più in presenza di un probabile progressivo disimpegno degli Usa, diventa un dibattito sulla possibilità che gli Stati democratici si dotino di uno strumento nuovo, o rinnovino radicalmente quello precedente in una direzione tutta ed esclusivamente difensiva. Come è imposto, tra l’altro, dalla nostra Carta costituzionale.