Io me ne andrei
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24 Febbraio 2024La Nota
di Massimo Franco
L’insistenza sul premierato come «madre di tutte le riforme» era prevedibile. E Giorgia Meloni sapeva di dirlo a un uditorio ben disposto, nel videomessaggio di ieri al congresso di Forza Italia: il primo senza Silvio Berlusconi. Eppure, è anche cosciente dell’alone di confusione e di incertezza, che ammanta il progetto. I «no» delle opposizioni per paradosso velano le contraddizioni di una riforma costituzionale che incontra resistenze e perplessità dentro la stessa destra: al di là delle legittime intenzioni con le quali è stata pensata. Una riforma «di sistema» che prevede soltanto il rafforzamento dei poteri di Palazzo Chigi, obiettano i critici, finisce per sbilanciare l’intera struttura della Costituzione. E la facilità con la quale di volta in volta chi la propone aggiunge o toglie ora un pezzo, ora l’altro della bozza in incubazione, assecondando le obiezioni, conferma una sensazione di sconcertante improvvisazione. Se si somma alla difesa dell’autonomia differenziata delle regioni voluta dalla Lega, la confusione aumenta. Ma forse, la contraddizione più stridente si coglie lì dove la premier sostiene che «solo un governo eletto dai cittadini» può «dare certezza»: come se quello nato nel settembre del 2022 e da lei presieduto non lo fosse; come se chi ha votato lei e la maggioranza non la legittimasse a sufficienza, nonostante il responso degli elettori, rispettato dal capo dello Stato; e come se si dovesse difendere da agguati e complotti. «Diremo basta una volta per tutte ai giochi di palazzo», ha spiegato Meloni nel suo messaggio. Eppure, al di là della sua cerchia di fedelissimi, sono in molti a sottolineare quanto sia opinabile un modello che si limita a aumentare il potere di Palazzo Chigi; e riduce il Quirinale e le istituzioni di garanzia a notai della volontà di una maggioranza politica. Chi sogna il premierato lo sa così bene che cerca di sminuire l’incidenza della riforma sul ruolo di equilibrio e di unità svolto dal presidente della Repubblica. Né basta additare il fatto che non saranno toccati i suoi poteri nella Costituzione. Questa verità «politica» omette la realtà di un premier destinato a imporre la sua volontà su un capo dello Stato espresso dal Parlamento. È un pasticcio tanto più controverso perché non esclude fin d’ora il ricorso al referendum in caso di mancato accordo con gli avversari: un epilogo che acuirebbe la spaccatura dell’Italia. Difficile capire se e quanto «la responsabilità storica di accompagnare l’Italia nella Terza Repubblica», rivendicata da Giorgia Meloni, avrà successo. L’incognita non è solo quella del «no» delle opposizioni, ma di un percorso tracciato con una fretta che, questa sì, rischia di danneggiare riforma e governo.