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Immaginiamo i prossimi mesi: Banco BPM decide di alleggerirsi del suo 9% in MPS, non per disinteresse, ma per convergere su Generali, rafforzando un blocco azionario già in fermento. UniCredit, già azionista del Leone triestino, si muove nella stessa direzione. Il governo, impegnato a contenere l’espansione di Crédit Agricole in Italia, benedice l’operazione e si prepara ad attivare, se necessario, la Golden Power. Intanto, i grandi capitali italiani — da Caltagirone a Delfin — si riallineano: i pezzi si dispongono sulla scacchiera per una partita di controllo tra banche, assicurazioni e potere politico.
Nel giro di pochi mesi, tre snodi decisivi della finanza italiana — MPS, Mediobanca e Generali — finiscono sotto un coordinamento informale ma determinante, orientato più da logiche di sistema che da dinamiche di mercato. Il tutto avviene senza scalate ostili, senza proclami, ma con mosse puntuali e silenziose, secondo una strategia che parla più di forza politica che di libero scambio.
La possibile cessione del 9% di Monte dei Paschi di Siena da parte di Banco BPM, ora liberata dalla passivity rule (che impediva operazioni difensive verso scalate ostili), è un passaggio cruciale. Se Banco BPM decidesse di scaricare sul mercato la sua quota in MPS per rafforzarsi in Generali, si delineerebbe un asse finanziario e industriale “nazionale”, in contrasto con la crescente influenza francese nel settore bancario-assicurativo italiano, rappresentata in particolare da Crédit Agricole.
In questa prospettiva, UniCredit, già titolare del 5% di Generali, potrebbe convergere nello stesso schema, dando vita a un fronte compatto. Il governo, favorevole a questa architettura, potrebbe attivare la Golden Power per ostacolare manovre ostili o espansive da parte di Crédit Agricole, già azionista rilevante di Banco BPM.
Il risultato sarebbe una nazionalizzazione di fatto, seppure non dichiarata, del cuore della finanza italiana. I principali beneficiari di questa operazione sarebbero:
- Giorgia Meloni, che vedrebbe rafforzato il proprio controllo politico su un sistema strategico;
- Giancarlo Giorgetti, architetto di un riassetto ordinato che tiene insieme mercato e potere;
- Francesco Gaetano Caltagirone, azionista rilevante di Generali;
- Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, già influente in Mediobanca e Generali.
MPS, Mediobanca e Generali diventerebbero quindi poli coordinati di un potere economico-finanziario fortemente interno, in grado di resistere alle incursioni straniere e di dettare le condizioni nel mercato domestico.
Tuttavia, si evidenziano alcuni punti critici fondamentali:
- Contraddizione tra ideologia e prassi – Un esecutivo che si è sempre dichiarato favorevole al libero mercato si muove con strumenti di intervento diretto, come la Golden Power, per orientare la struttura proprietaria dei grandi gruppi.
- Concentrazione del potere – L’accentramento su pochi soggetti del controllo di MPS, Mediobanca e Generali riduce l’autonomia e la pluralità del sistema finanziario italiano.
- Esclusione del capitale estero – L’operazione lancia un messaggio chiaro: l’Italia non è più completamente aperta agli investitori internazionali. Il protezionismo di ritorno può avere effetti negativi sulla competitività.
- Fragilità dell’operazione – Il disimpegno di Banco BPM da MPS, se non gestito con equilibrio, potrebbe generare turbolenze sul mercato, incidere sul valore del titolo e rendere meno fluida l’intera manovra.
- Ritorno al capitalismo relazionale – Si profila il ritorno a un sistema basato su relazioni opache, alleanze informali e logiche di appartenenza, che ostacola l’innovazione e favorisce rendite più che meriti.
In poche mosse, un gruppo ristretto si troverebbe a controllare tre pilastri della finanza italiana: MPS, Mediobanca e Generali.
Un assetto potente, costruito con strumenti di governo, non di mercato.
E per chi, fino a ieri, proclamava che “è il mercato a fare le regole”, si tratta di una conversione tanto rapida quanto rivelatrice.