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22 Aprile 2023Il governo rinuncia agli stadi per sbloccare la terza rata Pnrr
22 Aprile 2023
di Massimo Franco
La proposta del ministro delle Riforme, il leghista Roberto Calderoli, di abolire i ballottaggi nelle elezioni nei Comuni, tocca un nervo sensibile: e così scoperto da minacciare di far saltare qualunque dialogo tra maggioranza e opposizione prima ancora che cominci. Nella sua intervista di ieri al Corriere , ha sostenuto che se un candidato a sindaco ottiene più voti dell’avversario al primo turno, e poi viene battuto due settimane dopo, non si rispetta la volontà popolare. Dunque, tanto varrebbe dichiarare immediatamente vincitori e vinti. La reazione del Pd è stata immediata, e furibonda.
L’uscita di Calderoli è stata vista come il tentativo di usare la sconfitta subita dal suo schieramento a Udine per compiere una forzatura. Il tema, tuttavia, ha implicazioni più di fondo. Chiama in causa gli interessi di una coalizione come quella formata da FdI, Lega e FI, che mostra maggiore compattezza rispetto agli avversari e dunque ha più probabilità di vincere al primo turno. Per una sinistra frantumata tra Pd, grillini e cosiddetto Terzo polo, invece, il destino appare opposto. Può sperare di rovesciare i pronostici solo se riesce a coalizzarsi in qualche maniera al ballottaggio: come è accaduto a Udine, nella sorpresa generale.
Ma il rischio che vengano premiati comunque esponenti di una minoranza poco aderente alla volontà dell’elettorato sembra inevitabile in entrambi i casi. Tra l’altro, in passato è avvenuto anche il contrario: e cioè che esponenti del centrodestra inizialmente bocciati, abbiano vinto al turno successivo. La memoria va per esempio al 2008, a Roma. In competizione erano il sindaco Francesco Rutelli e l’esponente della destra Gianni Alemanno. Benché al primo turno Rutelli avesse raccolto il 45,7 per cento dei consensi, contro il 40,7 % dell’avversario, al ballottaggio si fermò al 46,3, contro il 53,5 di Alemanno.
In questi anni, almeno pubblicamente, pochi hanno messo in discussione questo meccanismo elettorale, giudicato di solito in modo positivo. Il fatto che adesso diventi motivo di ulteriore divisione può dipendere da più di un fattore. Il primo è che di solito nei ballottaggi si accentua il fenomeno dell’astensionismo: così alto, ormai, da assumere contorni patologici. Dunque, il turno unico potrebbe essere considerato una sorta di antidoto. Ma gli avversari non si fidano, e puntano il dito innanzi tutto sul promotore: il ministro Calderoli, regista della riforma che punta all’autonomia differenziata delle regioni.
Si tratta di un progetto che le opposizioni considerano pericoloso per l’unità del Paese, perché a loro avviso accentuerebbe la spaccatura tra il Nord e il resto dell’Italia. In più, sullo sfondo rimane l’ipotesi di una riforma della Costituzione in senso presidenzialista, accarezzata dalla premier Giorgia Meloni. E serpeggia il timore che l’abolizione dei ballottaggi a livello locale sia il laboratorio per un’elezione diretta, in prospettiva, del capo del governo o dello Stato in un solo turno: un’evoluzione della quale nessuno sarebbe in grado di prevedere gli effetti, né i beneficiari.