Gentile Ministro Professor Valditara, ho letto con interesse la sua intervista rilasciata ieri a Flavia Amabile su questo giornale. Prendo atto delle sue parole, credo offrano spunto per un dibattito che affronti due temi di grande importanza.
Il primo riguarda la libertà d’opinione. Diciamo sempre che la consideriamo sacra, ma poi abbiamo la tentazione (quando sentiamo che mette in pericolo la nostra reputazione) di salire sull’altare e profanarla. È una tentazione che tocca tutti, non solo i ministri. Quando, nel dibattito letterario, così facile all’accensione, si dice che uno scrittore «non sa scrivere», non si intende che non conosce la lingua ma che il suo stile non ci piace.
Vladimir Nabokov considerava Fedor Dostoevskij «un giornalista dalla lingua sciolta e un teatrante da strapazzo» e io e lei, ne converrà, non siamo Nabokov e Dostoevskij. Virginia Woolf classificò l’Ulisse «l’opera di un nauseabondo studente universitario che si schiaccia i brufoli», e credo di essere stato con lei decisamente più lieve, con tutta l’ammirazione e il disagio che l’opera di James Joyce può suscitare in chi la legge.
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Non volevo insultarla, non credo che lei non conosca l’italiano, ma che quel tweet fosse davvero scritto male. La libertà espressiva – che della libertà di pensiero non è ornamento – si muove tra letterale e figurato. Tra i diritti di scrittori, intellettuali, liberi cittadini credo ci sia la facoltà (in certi casi il dovere) di criticare un ministro usando le armi dell’ironia e del paradosso senza timore di venire trascinati in tribunale. In caso contrario la libertà d’opinione ne risulterebbe soffocata e, nell’ovvia sproporzione di forze (un ministro contro un privato cittadino), quell’azione giudiziaria sortirebbe un oggettivo effetto intimidatorio per il futuro, al di là delle sue intenzioni signor ministro.
Vengo al secondo punto. Riguarda l’oggetto del paradosso da cui si è sentito offeso. Quando in trasmissione su Rai3 ho detto che alcuni ragazzi nati in Italia da genitori stranieri passerebbero probabilmente il test di italiano meglio di lei (e di me, avrei dovuto aggiungere) esprimevo ed esprimo un auspicio e affronto un tema politico importante: quello dello ius soli e dell’integrazione.
Se un giovane nato in Italia da genitori filippini o cinesi, dopo aver frequentato le scuole italiane, si presentasse al nostro cospetto con la prosa di Salman Rushdie (grande scrittore di lingua inglese, nato da genitori indiani di lingua urdu), io ne sarei orgoglioso. Sarei felice di riconoscere in lui o in lei uno scrittore migliore di me. Significherebbe che la scuola e la società italiana avrebbero svolto un eccellente lavoro di integrazione. Naturalmente, con la bella prosa, dovremmo accogliere anche l’ironia tagliente e la libertà espressiva del novello Rushdie.
Ora, signor ministro, probabilmente sullo ius soli io e lei non saremo d’accordo, ma l’auspicio che quel ragazzo e quella ragazza abbiano un posto nel nostro Paese credo ci veda meno lontani. Sperando di aver chiarito il mio pensiero, è in nome del suddetto auspicio che la invito a ritirare il suo atto di citazione. Diamo un segnale. Non facciamo che le aule di giustizia diventino la prosecuzione con altri mezzi di questi dibattiti. Lasciamo gli ingolfati tribunali a occuparsi di liti più drammatiche, e dedichiamo il nostro tempo limitato – il suo più prezioso del mio – a costruire.