I titolari del Grande Torino erano tutti molto dotati tecnicamente. Il portiere Bacigalupo era genovese e studiava medicina. Non si allontanava apposta dalla traiettoria della palla per compiere balzi più vistosi: era di stile sobrio e misurato: parava il parabile, come usano i grandi portieri. Ballarin, terzini destro, era chioggiotto: stilisticamente splendido, era capace di anticipi imperiosi, di entrate in tackle piene di grinta, di respinte al volo tempestive ed energiche. Il terzino sinistro era Maroso, uno dei prodotti più classici del calcio italiano in assoluto. La longilineità conferiva eleganza ad ogni suo gesto agonistico, il tocco di palla era morbido, la precisione somma, così l’intuito creativo e perfino il senso del gol. Stopper era il bresciano Rigamonti. Anche lui studiava medicina. Aveva muscolatura possente, quasi ipertrofica, staccava con prepotenza per colpire di testa, anticipava e incontrava con la grinta di un mastino. In centrocampo nasceva il gioco. I due mediani erano il vercellese Castigliano e il triestino Grezar. Il primo era di struttura potente e sapeva battere a rete da fuori area con tiri squassanti. Il secondo era più contenuto ed elegante nel porgere, quasi sempre in appoggio a quel grande patron del campo che era Valentino Mazzola. Quando Castigliano avanzava per concludere, solitamente era Loik a coprire il suo spazio. Con Valentino non servivano precauzioni di sorta. L’omarino contraddiceva alla sua struttura con prestazioni e atteggiamenti da autentico gigante del nostro sport. Scattava come gli consentivano le larghe sezioni dei suoi muscoli crurali; reggeva alla fatica da fondista puro: usava i due piedi ed inventava gioco con inesauribile fantasia: quando era necessario, sapeva elevarsi a match winner con mirabili acrobazie, salti mortali all’indietro e tiri a volo em bicycleta, come dicono con bella metafora i brasiliani. Il centravanti era Gabetto, prodotto juventino. Chiuso in Juventus da Felicino Borel, Gabetto era emigrato in partibus infidelium, arricchendo il gioco torinista dei suoi estri balzani, le sue acrobazie a filo d’erba, i ghiribizzi, le continue trovate a sorpresa. Loik era un cursore lento e costante, un ruminatore di calcio e di chilometri, spalla ideale per Mazzola, cui spettava l’ultima rifinitura se non, come spesso accadeva, anche la conclusione. Infine le ali: a destra Berto Menti, vicentino, a sinistra Ossola, lombardo di Varese. Menti aveva la dinamite nel destro: ogni apertura verso di lui creava occasioni per bordate assassine. Ossola era più giocoliere: gli si addicevano il controllo, il dribbling, il ricamo elegante: e sgusciava in area come un’anguilla, ma più spesso amava servire i compagni più abili di lui nel tirare. Ossola aveva preso il posto di un vecchio dio degli stadi a nome Ferraris II, vercellese. Aveva fatto in tempo a vestire la maglia azzurra, una volta avvenuta la fuga di Orsi, ma Pozzo lo aveva sostituito con Colaussi dopo la magra iniziale con la Norvegia, all’avvio dei Mondiali 1938. Nel Torino, Ferraris II spese le ultime e fu la sua fortuna, perché ritirandosi dall’agonismo salvò la vita. Perirono invece tutti i titolari in maglia granata e con essi i giovani Bongiorni, nazionale francese, Martelli, bresciano, e Fadini, milanese di grandi speranze. Il disastro aereo di Superga commosse il mondo intero. Ebbe luogo il 4 maggio 1949. Fu un terribile urto contro il basamento della Basilica di Superga. L’aereo con a bordo il Torino rientrava da Lisbona, dove aveva perduto senza drammi un’amichevole con il Benfica. L’atterraggio doveva aver luogo a Milano. Per la smania di rientrare, all’ultimo istante il pilota deviò verso Torino. Lo schianto fu orribile, tanto che i poveri corpi ne vennero tutti sconciati. Con i torinisti perirono Erbstein, Livesley e tre giornalisti di fama quali Casalbore, Cavallero e Tosatti. La notizia gettò nello sconforto la gentile città di Torino e con essa tutta l’Italia. Con il grande Torino il calcio nazionale perdette una decina di elementi dotati di classe internazionale certa. Il tragico evento sarebbe costato al nostro sport un ritardo di almeno 20 anni nei confronti degli altri paesi protagonisti del calcio mondiale.
* per concessione
dell’Archivio Mondadori