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22 Luglio 2022Un saggio racconta la Serenissima attraverso le incisioni sui muri, da Palazzo Ducale ai Piombi, dalle scritte oscene alle rivendicazioni salariali
di Francesco Ferasin
La prima incisione della storia in glagolitico, un antico slavo ecclesiastico dal quale deriva il cirillico, stava lì da 600 anni sotto gli occhi dei turisti che ogni giorno affollano Loggia Foscara di Palazzo Ducale. Nessuno se n’era mai accorto. Almeno fino a quando gli studiosi Alberto Toso Fei e Desi Marangon, con fotografie di Simone Padovani, non ne hanno raccontato la scoperta ne I graffiti di Venezia (Lineadacqua), un saggio ricco di “storie su pietra” dimenticate, dalla politica alle leggende, dal commercio alla cronaca quotidiana, fino al sesso.
“Questo xe missier lo doxe, se ve piase”, si annunciava a ogni elezione del nuovo doge. E se piaceva, i muri si tappezzavano di zogie (il copricapo dei “Serenissimi principi”) con sotto una “W”. Omaggi non si sa quanto spontanei o prezzolati, ma funzionavano e la lealtà alla repubblica marinara rimaneva altissima. Chi sgarrava finiva nei Piombi, e così anche le antiche prigioni si sono trasformate in un epistolario murale col passato. Nel 1549 il “frescante” Riccardo Perucolo, rinchiuso nel pozzo numero X con l’accusa di “eresia luterana”, si guadagnò l’indulgenza dei suoi carcerieri abbozzando un affresco di consolazione, con tanto di San Sebastiano e Vergine con bambino.
Tra le calli si trova poi il ricordo della laguna ghiacciata nell’“inverno longo” del 1709. Ancora nelle logge di Palazzo Ducale si leggono i codici cifrati – rimasti segreti – del Consiglio dei Dieci, ma se ci si sposta nella balaustra accanto svetta l’incisione di un fallo maschile datata “1564”. Meno goliardica è invece la denuncia dei salari da fame ritrovata sotto la cupola di San Giorgio: “A 43 centesimi all’ora, i fasioi a 60 al chilo”.
La vita mondana se la passava un po’ meglio. Sullo stipite d’ingresso di Ca’ Raspi, a San Polo, campeggia ancora il bassorilievo di una cortigiana a seno scoperto. Un nipplegate d’antan, che non faceva scandalo nella zona delle Carampane (il quartiere “a luci rosse” medievale), né tanto meno nella Venezia cosmopolita e libertina dei dogi. Anche perché poco lontano sorge il “Ponte de le Tette”, chiamato così per la mercanzia che vi era esposta. Tutto molto tollerato, a tal punto che sembra ci fosse lo zampino della Serenissima. Preoccupata per il dilagare dell’omosessualità, l’amministrazione aveva imposto per legge di “distogliere con siffatto incentivo gli uomini dal peccare contro natura”.