il retroscena
ilario lombardo
roma
Un salto indietro di poche ore, quando l’attacco più inimmaginabile della storia recente del Medio Oriente non è ancora avvenuto. È martedì 17 settembre, primo pomeriggio: a Roma, a Palazzo Chigi e alla Farnesina, si discute di un possibile vertice di emergenza su Gaza, convocato dagli americani. Più precisamente: si discute di un nuovo scenario di guerra che sembra imminente. In Libano. Israele sarebbe pronta ad aprire il fronte Nord per chiudere i conti definitivamente con Hezbollah, le milizie filo-iraniane che hanno il controllo politico-militare di gran parte del Paese dei cedri. Non c’è una data, fonti del governo italiano non vogliono sbilanciarsi, ma la sensazione è che potrebbe avvenire a sorpresa da qui a subito dopo il 7 ottobre, quando cadrà il primo anniversario della carneficina di Hamas che ha scatenato la reazione di Israele dentro la Striscia di Gaza.
Le cancellerie sono preallertate. L’intelligence e le ambasciate italiane a Tel Aviv e a Beirut non nascondono la possibilità che l’escalation sia questione di giorni. Lo comunicano a Roma: Benjamin Netanyahu si sta preparando ad attaccare, assicurandosi anche una copertura politica. I media israeliani riportano che il premier sarebbe sul punto di sollevare dal suo incarico il ministero della Difesa Yoav Gallant, ormai suo avversario interno, per sostituirlo con Gideon Sa’ar, presidente del partito New Hope, un centrista molto più conciliante con Netanyahu.
Quando in Libano, l’altro ieri, si scatena l’inferno dei cercapersone, che esplodono e ammazzano in contemporanea i miliziani di Hezbollah, ogni dubbio sembra svanire. Israele non rivendica, ma c’è la firma, l’impronta. Alla Farnesina confermano: «C’è una grandissima preoccupazione per una possibile accelerazione della crisi». Per domani viene convocato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E quasi in contemporanea arriva l’annuncio del vertice dei governi occidentali, che era nell’aria. Ci sarà subito: questa sera a Parigi. All’ordine del giorno c’è anche l’Ucraina. Ma è l’incubo sempre più concreto di un attacco su larga scala in Libano ad agitare Europa e Stati Uniti. Il segretario di Stato americano Antony Blinken si sposterà direttamente dal Cairo, dov’è in missione proprio per tentare di uscire dallo stallo dei negoziati sulla tregua a Gaza. A cena, Blinken ritroverà i colleghi ministri degli Esteri di Francia, Italia e Regno Unito. Non ci sarà il tedesco ma la Germania al tavolo sarà rappresentata comunque. Antonio Tajani partirà dopo l’incontro con il leader del Partito popolare spagnolo Alberto Nunez Feijoo.
Il ruolo dell’Italia in Libano è sempre stato considerato cruciale dagli alleati. Per le capacità di mediazione, riconosciute da tutte le parti, compresa Hezbollah. Ma questa volta – è lo sfogo raccolto nel governo – le speranze di poter incidere in qualche modo sono quasi nulle. È forte la convinzione che Netanyahu andrà avanti comunque, e non si farà scoraggiare. Le truppe delle forze di difesa israeliane (Idf) si stanno posizionando.
Gli analisti mediorientali prevedono due possibili piani di attacco, allo studio del governo e dei militari dello Stato ebraico. Entrambi calibrati sull’ipotesi che Netanyahu potrebbe convincersi almeno ad aspettare le elezioni americane prima di dare l’ordine. Un conto è avere la democratica Kamala Harris alla Casa Bianca. Un altro è avere Donald Trump, dal quale il premier israeliano si sentirebbe protetto, anche nel caso in cui – come sembra – dovesse spingersi ben oltre la Blue Line e il fiume Litani, a sud, dove è posizionato il contingente Onu. Israele colpirebbe il Libano in più parti, per piegare Hezbollah innanzitutto nelle aree dove il controllo è più capillare, come la valle della Bekaa, a nord.
È lo scenario che gli americani e gli europei vogliono scongiurare. Nelle prossime ore sono attese prese di posizione ufficiali per fermare Netanyahu. Il Medio Oriente esploderebbe, spiegano preoccupate fonti diplomatiche italiane. Anche perché, aggiungono, si attende ancora la reazione dell’Iran all’uccisione del capo di Hamas Ismail Hanyeh, avvenuta a fine luglio a Teheran, sotto gli occhi delle Guardie della Rivoluzione. Un’umiliazione per il regime degli ayattolah che nessuno crede rimarrà senza risposta.