Colpa della Russia. Certo. Buttiamola così e vedrete che dopo il bagno di lacrime e condanne, fra una settimana sarà passata. Mica è colpa nostra. Putin sa come siamo fatti, psicolabili creature del mondo bello, in cui ci si emoziona a ogni giro di incidente, ma l’indignazione non dura a lungo. E peccato che Sanremo sia bastato solo per la guerra fra Hamas e Israele. Ma in poche settimane arriveranno le sfilate primaverili, e vedrete che discussioni sul messaggio positivo e inclusivo delle nuove giacche.
In ogni caso, ammettiamolo, dell’Ucraina si parlava da tempo di «fatica» della guerra – intendendo non quella del popolo ucraino, che la combatte, ma di tutti noi, gli europei, che «abbiamo fin qui dato fin troppo». Putin sa, come il Mago di Oz chiuso in una delle decine di stanze di un suo castello, magari proprio quello sul Mar Nero la cui esistenza è stata la denuncia capolavoro dell’appena deceduto Navalny, guarda il mondo esterno dietro una tenda e si allena al momento in cui potrà farsi una risata alle spalle di chi lo sfida. Difficile non vedere il perfetto tempismo dell’annuncio del decesso di Navalny: la iconica Conferenza sulla Sicurezza di Monaco che da qualche anno è diventata un fastidioso cocktail di proclami democratici e dichiarazioni belliche.
L’ultima volta che la Conferenza è stata sbertucciata dalla realtà è stata sulle primavere araba, quando il Segretario di Stato Hillary Clinton promise una nuova alba per le giovani generazioni arabe. Le primavere finirono in guerre civili, da cui, zitti zitti, gli Usa, cioè Obama e Hillary, si defilarono – e l’unico prezzo fu pagato dall’ambasciatore Usa in Libia. Putin sa contare, d’altra parte. Sa che le elezioni «nelle democrazie» sono il momento in cui il nostro mondo impazzisce. E Lui, che ha tanto tempo perché nel suo paese impazziscono solo i suoi oppositori e i generali e i cuochi che non lo accontentano, si è dedicato a monitorare l’impazzimento democratico.
In Usa un Presidente in pectore, Trump, gli manda messaggi di cooperazione («se divento presidente dirò a Putin di invadere subito i paesi che non pagano la loro quota per la Nato»), e d’altra parte il Presidente in carica, Biden, che esattamente 2 anni fa (il 24 febbraio è l’anniversario) ha dichiarato guerra alla Russia «fino a che l’Ucraina avrà avuto vittoria totale», ora che si vota tratta il Presidente Zelensky come un fastidioso esattore delle tasse, mai contento di quello che hai versato. Nel 2021 Biden minacciò la Russia di «devastanti conseguenze» se Navalny fosse morto in carcere. Ieri ha detto solo di considerare Putin «colpevole». E le conseguenze? Forse le ha dimenticate.
L’Europa, dopo i pochi entusiasmi iniziali è essa stessa in fuga, non capendo bene se gli porta più voti stare con la destra che sta con Putin, o quella moderata che serve alla riconferma della Von der Layen. Putin sa, anche, che presso questo mondo, appena descritto, le sue quotazioni sono in costante rialzo.
Il bull market delle guerre lo ha fatto risalire in Medioriente, dove è ancora uno stimato e affidabile protagonista –l’Iran nel momento più complicato della guerra fra Mosca e Kiev, ha inviato alla Russia la cavalleria leggera ma efficace dei suoi droni. D’altra parte anche per Israele la Russia è un riferimento da tempo. Dopotutto durante la Guerra Fredda l’URSS è stata, nella spartizione delle aree di influenza globale, il riferimento del Medioriente. E se pace si vuole in quella regione, ci dovrà essere ora almeno un suo silenzio assenso. Putin, dunque, sa tutti i dettagli che muovono il nostro mondo. Soprattutto le nostre emozioni. Sa che il dolore della bionda moglie del suo dissidente preferito, Navalny, gli avrebbe fatto fare un figurone in diretta mondiale dal palco della Conferenza di Monaco, come è stato. Ma soprattutto Putin sa che siamo popoli che dichiarano guerre che non vogliono combattere, e amano la pace che non sanno costruire. In nome delle democrazie ovviamente. E si è divertito a farci guardare per una volta dentro l’abisso delle nostre contraddizioni.