Minimalista e trascendente, pochi dialoghi e tanta empatia, Wenders accede a uno stato di grazia che non gli apparteneva da qualche lustro, e tra un water-closet e una pezzetta trova la poesia: “Non è qualcosa che puoi programmare in un film, bensì una bella scoperta, un dono che ricevi dagli attori, i luoghi, la luce, tutto ciò che deve unirsi in un componimento, appunto, poetico”. Piedi per terra e, ehm, brache calate, l’autore de Il cielo sopra Berlino assume “il forte sentimento di ‘servizio’ e ‘bene comune’ in Giappone” e fotografa “la pura bellezza architettonica di questi luoghi sanitari pubblici”, rimanendo “stupito da quanto i ‘servizi igienici’ possano far parte della cultura quotidiana, e non soddisfare unicamente una necessità persino imbarazzante”. Wim e la poesia del WC, Hirayama e la soddisfazione personale che si traduce in beneficio pubblico, entrambi finalizzano piccole cose e grandi speranze, portando sullo schermo un sodalizio a lungo trascurato: epifania poetica e atto politico.
Sì, Wenders sta benone. La Cannes scorsa l’ha riconsacrato maestro, e dal 4 al 6 marzo porterà nelle sale italiane il secondo titolo battezzato sulla Croisette: il documentario stereoscopico Anselm, dedicato all’amico artista Kiefer, anche questo eccellente. Al cinema del reale ha già ascritto la celebre coreografa tedesca Pina Bausch (Pina, 2011), il grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado (Il sale della terra, 2014) e Papa Francesco (Un uomo di parola, 2018), con un minimo comune denominatore incerto, fatta salva “la mia curiosità su di loro. Bergoglio come fa a vivere quella missione, quella responsabilità? Pina perché mi ha fatto piangere come mai prima per un film? E ora Anselm, che ogni cosa che conosco può dipingerla? È veramente uno scienziato pazzo: se qualcuno domani se ne uscisse con una nuova teoria sul Big Bang, Kiefer la dipingerebbe dopodomani”. Il documentario, ricorda Wenders, ha richiesto trent’anni per realizzarsi: “Nel 1991 Anselm mi disse: ‘Wim, hai sempre voluto essere un pittore e sei diventato un regista. Mentre io ho sempre voluto essere un regista e sono diventato un pittore, facciamo un film insieme’. Gli risposi di sì. Poi la vita cambia, lui si è trasferito in Francia, io in America e…”. Il processo creativo, il fascino del mito e la fascinazione per la storia, il pittorico che sdilinquisce nel filmico, Anselm è un’altra sorprendente epifania poetica, in cui riecheggiano gusto e sostanza del cineasta classe 1945 di Düsseldorf.
Quest’anno festeggerà i quaranta della Palma d’Oro a Paris, Texas, che accolse nel 1984 al Palais des Festivals di Cannes in una serata memorabile: “Alla fine erano rimaste solo due persone, John Huston e io, e un premio, la Palma d’Oro. Huston mi guarda e dice, “che succede Wim?”. Io: “Non lo so”. E poi Dirk Bogarde ha chiamato il vincitore, ed ero io. Ho guardato John: “What the fuck?”. Lui si è alzato e mi ha applaudito. Nessuno lo sapeva, dopo di me Huston ricevette la Palma alla carriera”.