Ma quanto costano al Paese quei «piccoli» abusi edilizi?
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25 Settembre 2023Il diario inedito di Olha Meniajlo, rinchiusa dai soldati-ragazzini di Putin nella cantina della scuola di Yahidne, in Ucraina. L’assenza di regole, il “lasciatelo soffocare” rivolto a un bambino, la certezza di morire, il pudore delle emozioni e poi, di nuovo, la vita. Reportage
Giorno tre. Sempre più persone impazziscono. Nikulina è stata la prima. Continuava a parlare con il figlio morto, come quand’era bambino. Sveta Sorokopud credeva di essere la padrona di una fabbrica e di licenziare tutti. Slava Melnyk ha urlato e imprecato. Abbiamo dovuto legarlo e imbavagliarlo. Molchenko ha avuto un attacco epilettico. I bambini piangevano”. C’è un documento pressoché inedito che racconta l’orrore vissuto dall’Ucraina sotto l’occupazione russa. E’ il diario di una prigioniera, una civile, scritto nel bel cirillico corsivo delle vecchie generazioni, nel corso di quasi un mese, nella penombra di un sotterraneo, alla luce di candele e torce. Ogni tanto le righe si accavallano, ma è tutto intelligibile, nelle sue quasi seimila parole. Un giorno questa testimonianza potrebbe avere un ruolo importante nel portare i russi alla giustizia per i loro crimini contro l’umanità. Lo abbiamo ottenuto e letto nella versione integrale.
Olha Meniajlo è una donna di cinquantuno anni, abitante di Yahidne, villaggio dell’oblast di Chernihiv, Ucraina settentrionale. Come raccontato da Time e come ricordato sul Foglio da Paola Peduzzi, il 3 marzo 2022, a una settimana dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, i russi hanno occupato Yahidne, due ore di macchina da Kyiv. Il 5 marzo hanno ordinato a tutti i residenti – uomini, anziani, donne e bambini – di lasciare le loro case e di recarsi in punta di fucile nel sotterraneo della scuola locale. 368 persone sono state recluse in uno spazio angusto, umido e sporco, sei stanze per un totale di 197 metri quadri, meno di mezzo metro quadro a disposizione per ciascuno. Senza luce elettrica né riscaldamento né acqua corrente né aerazione. La prigionia è trascorsa da seduti, perché lo spazio non consentiva di sdraiarsi. Cibo razionato dai soldati russi, un secchio per fare le proprie cose, mancanza di ossigeno. Il tutto per ventisette giorni. Dieci persone sono morte. Olha Meniajlo, fatta prigioniera con il marito Volodymyr e con uno dei suoi figli, la nuora e il nipotino di quattro mesi, ha tenuto segretamente un diario durante la prigionia. Il 5 marzo, trascinata dai russi fuori dalla propria casa, ha preso con sé un quadernetto, con l’intento di lasciare un documento ai suoi figli Natalia e Serhii, che si trovavano invece a Kyiv, nel caso in cui lei, Olha, fosse morta per mano degli occupanti. Nonostante nel seminterrato non ci fosse quasi luce, ogni giorno Olha scarabocchiava qualche frase sul foglio. A fine prigionia ha consegnato il diario a una giornalista sua conoscente, che lo ha a sua volta passato a Olesya Yaremchuk, scrittrice e giornalista ucraina, la quale sta lavorandoci assieme alla collega Svitlana Oslavska.
A Yahidne siamo andati anche noi, in una sera di settembre 2023, in una visita organizzata dal Pen Ukraine e l’Ukrainian Institute. Siamo scesi giù per quella stessa scala dove un’intera comunità è stata condotta e poi reclusa in condizioni disumane, equiparabili a un campo di concentramento. Nonostante fosse passato oltre un anno dalla fine insperata di quella prigionia, era come se i russi se ne fossero andati da poco: c’erano le copie di marzo 2022 della Komsomolskaja Pravda aperte su una panca lercia, che titolavano “Per la patria! Per la vittoria!”.