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Così uno strumento classico dialoga con le nuove tecnologie. Anche l’AI. La voce dei costruttori e degli interpreti
di
Longbourn, contea dell’Hertfordshire, accoglie la dimora dei Bennet, una residenza di campagna modesta ma capace di ospitare tutta la famiglia con la servitù. Nel salotto, in un angolo, c’è il pianoforte di Elizabeth. Essere introdotti all’arte è uno degli aspetti fondamentali per un’educazione compiuta e socialmente apprezzata, soprattutto per una signorina di buona famiglia alla ricerca di un marito. “A woman must have a thorough knowledge of music, singing, drawing, dancing, and the modern languages, to deserve the world”, dice Caroline Bingley, descrivendo quello che rende una donna veramente di talento. Elizabeth Bennet suona il pianoforte benché non così bene come vorrebbe: si esercita poco, ma il pianoforte è sempre presente in casa.
Abbiamo richiamato due personaggi di
Orgoglio e pregiudizio per introdurci a uno strumento musicale che ancora oggi è accompagnato da un fascino misterioso e da una sorta di timore reverenziale. Ha storia articolata che intercetta gusti trasversali, interessi economici e vive la contemporaneità, confrontandosi con lo sviluppo della tecnologia e delle nuove tendenze dell’intelligenza artificiale. Gli ultimi dati riferiscono di un mercato globale dei pianoforti che nel 2024 raggiungeva i 2,36 miliardi di dollari e si prevede raggiunga 2,81 miliardi di dollari entro il 2033, con un tasso di crescita annuo del 2 per cento.
Tutto inizia nel 1688 alla corte fiorentina del Gran Principe Ferdinando de’ Medici dove un padovano, Bartolomeo Cristofori, è impegnato a curare la collezione di tutti gli strumenti musicali della corte, in particolare l’imponente serie di clavicembali. Tra questi, un “arpicembalo”, una sorta di clavicembalo “inventato proprio da Bartolomeo Cristofori”, con martelletti e ammortizzatori, due tastiere e una gamma di quattro ottave. Come tutte le grandi scoperte e i cambiamenti della vita, Cristofori parte da una necessità: quella di poter modulare il volume da una nota all’altra, introducendo la possibilità per l’esecutore di suonare anche “dolce” e non solo “forte” e “piano”. Lo strumento di Cristofori è descritto entusiasticamente nel 1711 dall’erudito Scipione Maffei che lo definisce un “gravicembalo col piano, e forte”. Le fonti riportano che quest’invenzione non ha immediata fortuna in Italia, ma alcuni strumenti suoi o del suo discepolo Giovanni Ferrini vengono acquistati dalla regina Maria Barbara de Braganza, mecenate e allieva di Domenico Scarlatti. Le prime musiche scritte e pubblicate appositamente per il “pianoforte” sono le dodici Sonate da cimbalo di piano e forte, detto volgarmente “di martelletti” (Firenze, 1732) di Lodovico Giustini, dedicate a Don Antonio Infante del Portogallo, zio di Maria Barbara e altro allievo di Scarlatti. Le Sonate contengono indicazioni come “più forte” e “più piano”, sottili gradazioni dinamiche, impossibili da eseguire su un clavicembalo. A fine ’800, Cristofori però cade nell’oblio e l’invenzione del pianoforte viene così universalmente attribuita a Gottfried Silbermann di Freiberg, che in Sassonia ha “semplicemente” replicato i meccanismi di questa strana macchina sonora.
L’evoluzione degli strumenti musicali, come abbiamo visto, avviene gradualmente e in orizzontale: un modello recente non è necessariamente superiore a uno precedente, bensì risponde a esigenze esecutive e stilistiche del proprio tempo. Il processo di perfezionamento delle caratteristiche sonore e meccaniche del pianoforte ha spesso seguito l’evoluzione dei materiali, le scoperte acustiche e il modificarsi delle sale da concerto. Molto interessante, sul tema, è il volume Galassia Pianoforte di Enzo Beacco, da poco pubblicato per il Saggiatore. Quella di Beacco non è una storia della musica per pianoforte, ma una storia del pianoforte come oggetto che si sviluppa nel tempo, obbligando le realtà collegate ad adeguarsi ai mutamenti. Beacco paragona il pianoforte a una galassia che gli esseri umani scrutano a occhio nudo, desiderosi di organizzarla, inserendola all’interno di uno schema preciso. Il musicologo lo fa, individuando quarantotto personaggi che hanno determinato la storia del pianoforte, per poi suddividerli in due parti: la prima con i compositori e i costruttori; la seconda fatta soprattutto dagli interpreti. Tutti usano strumenti che, con il precedente, hanno praticamente in comune solo la tastiera.
Scorrendo le pagine, si legge che i primi pianoforti erano in legno, poi in ghisa, materiale che, pur resistendo alla tensione delle corde, non evitava che queste si rompessero. A metà ‘800 si giunse a una struttura sempre in ghisa, ma più elastica, che ben tollerava le corde più spesse e tese. Anche i fruitori furono fondamentali per lo sviluppo dello strumento: la diffusione vide un coinvolgimento sempre più largo del pubblico poiché l’ampliarsi delle sale da concerto richiedeva strumenti capaci di riempire ambienti più grandi. Il pianoforte, però, si diffuse anche nelle case: spesso non si poteva ospitare uno a coda e iniziarono così a realizzarsi pianoforti verticali – meno ingombranti, più facili da trasportare e meno costosi – che mantenessero quasi tutte le caratteristiche espressive del “coda”, con l’unica differenza dei pedali.
I mutamenti che lo strumento dovette affrontare furono condizionati anche dall’evoluzione della tecnica pianistica, quella propriamente esecutiva. Protagonisti furono compositori e interpreti che sollecitarono innovazioni sempre più complesse, dando vita quasi a una competizione tra strumenti, alla ricerca di quello che rispondesse meglio a certi gesti tecnici e ai repertori. Negli anni che vanno dal 1816 al 1819, Beethoven scrive la Sonata op. 101 e l’opera 106. Nella prima, insiste con l’editore perché nel frontespizio appaia il nuovo termine “Hammer oder Hämmer-Klavier”, oppure ancora “Hämmer-Flügel” accanto al tradizionale “Piano-Forte”, cosa che accadrà con la 106 dove nel frontespizio c’è l’indicazione “Hammerklavier” (tastiera a martelli). Nel Romanticismo, Chopin rivoluziona l’uso del pedale, sfrutta al meglio i tasti neri e introduce più di altri l’idea del cantabile che possa ricordare quello vocale. Liszt, con una scrittura fortemente virtuosistica (fatta di ottave, volatine in velocità, riproposizione di una sorta di forza orchestrale), contribuisce allo sviluppo del “tasto” e della risposta a una precisa sollecitazione. Si potrebbe continuare citando Brahms, Schumann e altri: quando la tecnica pianistica si evolve, il pianoforte deve rispondere a esigenze espressive che si fanno impellenti. Anche il gesto tecnico muta: alla “tecnica del dito” si affianca anche quella del braccio, del polso. Il “peso”, inteso come gestione della forza di gravità sulla tastiera, porta alla nascita e al continuo perfezionamento dell’echappement double, quella tecnica del doppio scappamento che permette di ripetere rapidamente la stessa nota senza dover sollevare completamente il tasto.
Anche oggi il pianoforte deve rispondere a queste istanze e provare a intercettare le novità. Ne sa qualcosa Luigi Borgato, artigiano di sessantadue anni, maestro costruttore di pianoforti. Poco più che ventenne, Borgato progetta e realizza un pianoforte per sé. “Ho unito la mia formazione pianistica e meccanica per realizzare il sogno di un pianoforte da concerto tutto creato da me – ci dice – con un suono corposo e riconoscibile. Così ho immaginato un pianoforte con quattro corde percosse, come quello che si fece costruire Beethoven”. L’artigiano non ha una struttura industriale e sovrintende personalmente a ogni minima fase realizzativa, dalla scelta dei materiali al taglio, sino all’accordatura. E’ una piccolissima eccellenza italiana, una bottega che ha partorito meravigliosi strumenti suonati da Radu Lupu, Maria João Pires, András Schiff. Tra gli italiani ci sono anche Francesco Libetta e Roberto Prosseda che hanno collaborato con Borgato alla realizzazione di esperimenti molto interessanti: il pianoforte “Grand Prix 333” e il “Doppio Borgato”. Il primo è un pianoforte da concerto con le corde più lunghe di 50 centimetri del solito e una lunghezza totale di tre metri e trentatré. Il secondo è un “pedal-piano” realizzato aggiungendo al pianoforte gran coda una pedaliera di trentasette pedali (simile a quella organistica). “Noi non competiamo con le grandi multinazionali del pianoforte – continua Borgato – perché desideriamo un approccio alla costruzione dello strumento che sia attentissima alla scelta di ogni singolo materiale e ne rispetti la natura”. Il maestro ha una passione contagiosa che si esprime nella commozione delle sue parole e nella “voce” che offre ai suoi strumenti. “I bassi dei miei pianoforti devono essere riconoscibili tra cinquanta strumenti! – scherza ancora – L’idea che ho in mente si realizza con la giusta scelta dei materiali”. Borgato è anche testimone dei mutamenti che il mondo del pianoforte vive. “La tecnologia e il digitale hanno già prodotto un cambiamento – continua – quello di aver ridotto drasticamente la produzione e la vendita dei pianoforti verticali acustici”. Effettivamente sul mercato spopolano i pianoforti ibridi che uniscono elementi del pianoforte acustico tradizionale con tecnologie digitali. Esistono diverse tipologie ma in generale l’obiettivo è quello di combinare il tocco e il suono realistico di un pianoforte acustico con le funzionalità avanzate dei pianoforti digitali. “Hanno un’ottima resa sonora – dice Borgato – costi contenuti e occupano poco spazio. Sarebbe bello anche che i compositori scrivano musica per questi strumenti e orchestra, sperimentandone le potenzialità”. Molto vivo è anche il mercato del lusso che offre la possibilità di personalizzare gli strumenti: dalla scelta dei colori e dei materiali (come la serie dei “modelli speciali” di Fazioli) alle finiture speciali, monogrammi, intarsi e design; ci sono tantissime opzioni per professionisti e appassionati.
Non c’è dubbio che il pianoforte sarà protagonista nei prossimi anni anche grazie alla vitalità di mercati poco noti o in forte espansione come quello indiano o cinese (qui si calcolano 30 milioni di studenti di pianoforte grazie al fenomeno Lang Lang). In America la musica e il pianoforte sono sempre più presenti nei programmi accademici facendone crescere le vendite. “Anche tra cinquant’anni – afferma Borgato – si suoneranno i concerti per pianoforte e orchestra di Rachmaninoff e serviranno pianoforti adatti alle necessità tecniche e logistiche”.
La tecnologia dei pianoforti intelligenti sta cambiando anche il modo in cui le persone imparano e interagiscono con la musica. Questi strumenti innovativi sono dotati di sensori, schermi interattivi e funzionalità di connettività che rendono l’apprendimento autonomo più facile. I pianoforti intelligenti possono guidare i principianti durante le lezioni, monitorare i loro progressi e fornire feedback in tempo reale sulla loro tecnica. Durante l’esecuzione, l’intelligenza artificiale può supportare i pianisti offrendo un accompagnamento in tempo reale, adattandosi al ritmo e allo stile del musicista oppure fornendo analisi dinamiche delle tecniche di esecuzione per scopi didattici. Significativi in questo senso la serie di pianoforti “Spirio” lanciata da Steinway & Sons. In questi strumenti si fonde la tradizione artigianale e l’innovazione tecnologica capace di riprodurre una sala da concerto e accedere a una libreria di esecuzioni di artisti legati alla Steinway.
Questo vortice di novità può aiutare l’amatore ad approcciarsi alla musica o il dilettante a trovare nuovi stimoli. Chi vuole studiare il pianoforte però deve scorgere in sé una scintilla, trovare un maestro e un vero strumento, come è accaduto al celebre pianista jazz Michel Petrucciani. Nel 1966 Duke Ellington è in Europa per tenere alcuni concerti con Ella Fitzgerald. Un frammento televisivo rubato dal palcoscenico del Lirico di Milano vede Vittorio Gassman introdurre la cantante che esegue I’m Just A Lucky So-and-So. Duke Ellington è al pianoforte e il piccolo Petrucciani – un bambino di quattro anni – indicando lo schermo esclama: “Io suonerò quello strumento!”. I genitori decidono allora di regalargli un pianoforte giocattolo che Michel, dopo due giorni, distrugge con un martello, chiedendo poi: “Adesso posso avere un pianoforte vero?”. Gli regalano un vecchio verticale abbandonato in una parrocchia, un pianoforte precario come le sue condizioni di salute: Michel ha l’“osteogenesi imperfetta”, meglio conosciuta come “sindrome delle ossa di cristallo”, una rara malattia che gli procura frequenti fratture, aggravata da una severa forma di nanismo. Tutto questo non gli impedisce di diventare il fenomeno che tutti abbiamo conosciuto. Petrucciani suonava uno Steinway &Sons realizzato per lui con una pedaliera standard “custom” con tre pedali, regolata a un’altezza e a uno sbalzo idonei alla sua statura. Su quei tasti si “lanciava” verso le zone più acute o gravi, da solo, in trio, a volte in formazioni più ampie, ma sempre con un unico obiettivo: “Per me ciò che conta è il suono – diceva – deve essere limpido, cristallino, molto preciso, sempre più preciso. Il suono di una voce”. Finché il pianoforte sarà “una voce”, non potrà mai cadere nell’oblio.
La corte dei Medici, 1688:
Bartolomeo Cristofori parte dalla necessità di poter modulare il volume del clavicembalo da una nota all’altra
Il musicologo Enzo Beacco paragona il pianoforte a una galassia.
Strutture e materiali condizionati anche dall’evoluzione dell’esecuzione La vitalità di mercati poco noti o in forteespansione.InCinasicalcolano 30 milioni di studenti di pianoforte grazie al fenomeno Lang Lang Il piano intelligente, una rivoluzione periprincipianti.Machivuolestudiare deve trovare in sé una scintilla, un maestro e un vero strumento