Pablo Milanés – Yolanda (En Vivo Desde La Habana, Cuba)
22 Novembre 2022MENSA COMUNE SIENA. VOGLIAMO CHE I BAMBINI CONTINUINO A MANGIARE COSI’?
22 Novembre 2022di
Stefano Fabbri
È la corsa per guidare il Pd. Ma potrebbe rivelarsi una sorta di Derby dell’Appennino. A nord del Valico Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, ha tratto il dado. Dall’altra parte un pensoso Dario Nardella riflette se lanciare il suo. Sì, perché al di là delle importantissime logiche nazionali e delle magnifiche sorti e progressive del partito, i due si giocano anche il futuro dei loro territori che, teoricamente, dovrebbero schierarsi a sostegno delle rispettive (e per Nardella eventuale) candidature. Ma i primi a dirsi favorevoli all’ascesa del governatore emiliano al Nazareno non sono stati gli esponenti dem della sua Regione, bensì i toscanissimi Eugenio Giani e Antonio Mazzeo, rispettivamente presidente della Regione e presidente del Consiglio regionale. Un’ apparente anomalia che trova il suo riscontro nel clima tiepido che ha suscitato tra gli esponenti Pd nelle istituzioni toscane anche la sola ipotesi di una candidatura del primo cittadino. Può darsi che sia la scaramanzia: di sindaci che hanno lasciato Palazzo Vecchio per guidare il Pd può esserne bastato uno. Oppure l’appoggio toscano a Bonaccini potrebbe contenere un messaggio: nonostante l’appena disceso in campo — anzi in Campogalliano — abbia messo in guardia il partito dal ruolo nefasto delle correnti e delle appartenenze, non è improbabile che l’endorsement di Giani e Mazzeo sia stato espresso proprio per ricordargli che difficilmente se ne potrà liberare.
Entrambi, così come Nardella, sono stati molto legati a Matteo Renzi nella sua fase di epica scalata. Ma, scusandosi nel prendere malamente a prestito una delle frasi più celebri di Benedetto Croce proprio a 70 anni dalla sua scomparsa, ciascuno dei dirigenti del Pd del 2022 è in grado di dire all’altro che «non possiamo non dirci renziani».
O almeno di non esserlo stati. Peraltro è difficile che l’ex rottamatore faccia mancare il proprio apporto per tentare di condizionare le scelte del fu suo partito, a cominciare dalle rivelazioni nella nuova edizione del suo libro «Il Mostro».
Però è difficile leggere questa solidarietà transappenninica a Bonaccini senza pensare anche agli scenari toscani e fiorentini dei prossimi due o tre anni.
Innanzitutto a quello in cui nel 2024 si deciderà il successore di Nardella a Palazzo Vecchio. Un sudoku che con buon anticipo ha già agitato le acque e che l’elezione (in questo momento molto difficile) dell’attuale sindaco a segretario del Pd potrebbe complicare per qualche pretendente alla Sala di Clemente o per i suoi eventuali danti causa. E, sullo sfondo, le ancora più complesse elezioni regionali dell’anno successivo che, se non cambia il trend, potrebbero sancire un epocale cambio di segno politico alla Toscana.
Cosa deciderà Nardella a questo punto è difficile da prevedere: accettare quella che neanche troppo velatamente è stata un’apertura di credito di Bonaccini
ai sindaci Pd, e fuor di metafora soprattutto a lui, o ingaggiare la sfida?
Riposizionarsi su una dimensione soprattutto fiorentina di fine mandato e attendere la prossima occasione, oppure provarci e poi vedere, non di nascosto, l’effetto che fa?
Non è la sfida della vita. Ma l’importante per lui e per la città è che comunque vada non sia un insuccesso.
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