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10 Marzo 2023La mostra Palazzo dei Diamanti ha riaperto con un’esposizione dedicata a de’ Roberti e Costa
di Roberta Scorranese
Ferrara e l’osmosi culturale che portò alla famosa officina
Questa è una storia liquida. Fatta di canali, barche che solcano i fiumi, battaglie navali, piccoli porti e lagune. A Nord c’è la Serenissima, sempre pronta a difendere il territorio che, nella metà del Quattrocento, è ben saldo entro i suoi confini. A Sud c’è Bologna, che attrae come un magnete artisti e intellettuali, perché prima della «riconquista» papale, nel 1506, la signoria dei Bentivoglio cerca consenso attraverso la pittura e l’architettura. A Bologna ci si va utilizzando il canale Navile fino al porto della città. E poi ci sono Modena e Padova e anche qui ci si arriva per vie acquatiche.
Ecco perché l’Officina Ferrarese, per usare la luminosa espressione di Roberto Longhi, è prima di tutto un’avventura fluida, dove ogni cosa arriva, si sedimenta e poi riparte. Ferrara, nella metà del XV secolo, è una creatura sospesa tra terra, mare e cielo, una condizione metafisica che Giorgio de Chirico fisserà in pittura. E questa è anche una storia di osmosi viva, perché la mostra che ha riaperto Palazzo dei Diamanti, il bugnato più famoso del mondo, è dedicata a due protagonisti del Rinascimento ferrarese che seppero assorbire idee e sensibilità per terra e per mare.
Ercole de’ Roberti (1451-1496) e Lorenzo Costa (1460-1535) sono al centro dell’indagine condotta da Vittorio Sgarbi e Michele Danieli, con lo sguardo rivolto rispettosamente verso il critico Longhi, che fissò il canone originario di questa ricerca. Ma in questa mostra la visione si fa più liquida e si gioca con i confini: fu un Rinascimento «a» Ferrara o «di» Ferrara, tenendo conto che i ferraresi operarono anche altrove portando con sé un’impronta chiara?
È in questa metafisica dei luoghi che va ricercata la finezza delle scelte fatte. «A Ferrara nasce la Padanìa», sintetizza Sgarbi, intendendo con questa definizione una sensibilità allargata, «fluviale», che parte dagli Este per arrivare a Giuseppe Verdi. Così il percorso si snoda abbracciando anche Bologna, Padova, Venezia e spingendosi fino alla Toscana, perché la terra padana è da sempre stata una terra di attraversamenti. Donatello, per dire, partì da Firenze, andò a Padova e poi da lì il suo influsso riapparve a Ferrara. E il percorso di de’ Roberti e di Costa — che si può considerare una evoluzione ordinata — inizia con un periodo molto florido per la città, gli anni di Borso d’Este (che aveva conquistato il titolo di duca) e poi con la formulazione di un linguaggio più maturo grazie, appunto, alla porosità della Padanìa.
Geografie
Vittorio Sgarbi: «È a Ferrara che nasce la Padanìa». Il ruolo delle vie d’acqua e del mare
Danieli sottolinea l’anno 1449: «In quell’anno Andrea Mantegna era a Ferrara, dove eseguì il ritratto di Lionello d’Este e del suo fattore generale Folco di Villafora». Mantegna era una sorta di enfant prodige: appena diciottenne ma già acclamato e richiesto come l’artista di punta della bottega padovana di Squarcione. Intanto nell’ambito artistico in città si assistette a un forte ricambio generazionale, che fece emergere nuovi nomi e una ricettività diversa, più aperta alle influenze. Poi, oltre a Mantegna, era arrivato in città (da Sud) anche Piero della Francesca, esponente di un Rinascimento raffinato e maturo nella concezione dei volumi. Infine, forte era anche l’influenza del fiammingo Rogier van der Weyden. È così evidente che in questo incrocio di Veneto, Toscana e Fiandre, Ercole de’ Roberti abbia tratto linfa fresca per un linguaggio via via più maturo, eredità che verrà raccolta — e sviluppata poi — da Costa.
La geografia, ancora una volta, fornisce una mappa di forze: da una parte l’Adriatico, dall’altra quasi un lembo del Tirreno (grazie al possesso della Garfagnana toscana) il dominio estense controllava quasi tutte le vie che dal Nord portavano a Roma, ponendosi in questo modo come un centro nevralgico per i commerci e per la politica. È anche da questa consapevolezza di valore che un’originalità culturale simile ha potuto attecchire e proliferare. Le opere nate da questa congiuntura sono in mostra, in un raggio molto ampio che va da Tura a Dell’Arca. Perché alla fine l’Officina Ferrarese, come aveva intuito Longhi, illuminava un territorio molto vasto.