Franco Gabrielli
IL MINISTRO. IL REATO DI TORTURA. LE TENSIONI SOCIALI
di Francesco Rigatelli
«Ultimamente c’è stato un irrigidimento dell’approccio securitario sull’immigrazione, anche con il decreto sulle Ong, mentre secondo me questo criterio non aiuta. Inutile prendersela con gli scafisti, che sono gli sfigati della filiera, mentre i veri criminali sono i trafficanti che fanno commercio di esseri umani». Ieri a Biennale Democrazia a Torino Franco Gabrielli, ex sottosegretario del governo Draghi con delega ai servizi segreti e già capo della polizia, non si è tirato indietro davanti alle domande del direttore de La Stampa Massimo Giannini, che gli ha chiesto del clima politico cattivista che porterebbe l’idea di un’invasione e dei migranti come nemici da respingere.
«Sono il meno indicato a fare la difesa del governo Meloni – risponde il prefetto -. A differenza del ministro Piantedosi io sono stato un questurino a denominazione d’origine controllata e non mi sarei espresso come lui sulla strage di Cutro, se non altro perché su quel barcone c’era gente proveniente pure dall’Afghanistan. Persone che abbiamo abbandonato ad Herat, quando con la coalizione abbiamo lasciato il Paese. Al di là di certe improvvide affermazioni però non penso che il governo abbia cercato una strage. Il problema è che si è spostato l’approccio dell’immigrazione da una gestione di ricerca e salvataggio in mare a una securitaria, come dimostra l’invio della guardia di finanza e non della guardia costiera. Va detto anche che spesso dalla rotta turca arrivano barconi sulla costa calabrese, dunque non si trattava di una novità. Su questo approccio vedremo a cosa porterà l’indagine della magistratura, ma il problema viene da lontano».
Quella che lamenta Gabrielli è l’assenza nel nostro Paese di un «pensiero lungo». «Le misure – spiega – sono sempre provvedimenti spot e qualsiasi sia il giudizio sui singoli provvedimenti è difficile che producano gli effetti sperati. Se la finalità è frenare il fenomeno immigrazione non ci vuole la palla di vetro per capire che al di là del mare ci sia un continente disperato. In Africa vivono 1,2 miliardi di persone, che secondo l’Onu arriveranno a 2 nel 2050. E noi per loro siamo i ricchi e l’unica speranza. Un continente che non aspetta e non ha i nostri tempi».
Che fare allora, accogliere tutti? «No, questo creerebbe ulteriori tensioni in Europa – chiarisce Gabrielli -. I fenomeni vanno governati con un percorso che implichi il coinvolgimento dell’Ue, ma anche la nostra responsabilità di stati membri. Quando spiegai al premier Draghi che dubitavo avessimo gli strumenti adeguati per affrontare la situazione in Tunisia o in Libia, stati falliti, lui comprese che non sarebbero bastati interventi spot e l’utilità di un’operazione europea, poi però il governo finì».
Da servitore dello stato Gabrielli si dice «avvilito» di rivedere sempre gli stessi errori: «I ministri che fanno viaggi della speranza, i Paesi africani a cui si chiede di frenare il fenomeno migratorio, i proclami come “Aiutiamoli a casa loro”, ma poi bisogna farlo. In questi anni siamo passati dal buonismo al cattivismo senza una vera programmazione di politiche durature». E Gabrielli cita Lucio Battisti: «Come può uno scoglio arginare il mare… L’immigrazione è un fenomeno epocale e se non ci si mettono testa e cuore continueremo a subirla, magari finendo per nominare un inutile commissario all’emergenza». Il prefetto ci tiene anche a salvare l’Europa, «anche se ce ne sono due: quella dei Paesi fondatori e quella degli altri. Quando sento parlare di invasione poi guardo i dati e mi chiedo cosa dovrebbero dire in Germania dove hanno ospitato un milione di siriani. Certo il trattato di Dublino va rivisto, perché penalizza l’Italia come Paese di primo approdo, e sulla stabilizzazione del Nord Africa si potrebbe fare molto di più a livello europeo».
Gabrielli ricorda anche la convivenza da capo della polizia con l’allora ministro dell’Interno Salvini: «Ci fu reciproco rispetto, ma non lo rifarei. Il suo buonismo verso la polizia mi faceva temere che qualcuno si sentisse legittimato ad avere le mani libere». Sul G8 di Genova poi «fossi stato il capo della polizia mi sarei dimesso». E sul cambio al vertice dell’Agenzia per la cybersecurity: «Lascia perplessi, mentre Draghi predispose che il tema non dovesse essere affrontato in modo emergenziale». Dubbi anche sull’ipotesi di cancellazione del reato di tortura: «Difficile uscire da una convenzione sottoscritta e poi danneggerebbe la trasparenza delle forze dell’ordine». Infine, qualche preoccupazione per possibili tensioni sociali: «Non la vedo rosea purtroppo. C’è ancora un’anestetizzazione per il Covid, ma temo che le reazioni di piazza siano dietro l’angolo».