Caro direttore, ho letto con ritardo la arrogante risposta del capo ufficio stampa dell’Eni al suo editoriale che chiariva la forte e permanente tendenza dell’Eni a dettare regole sul piano politico interno ed internazionale.
Questa è storia che vive da 70 anni, ed io sento l’obbligo di solidarietà con lei e il suo giornale, perché della intrusione condizionante da parte dell’Eni ho conosciuto direttamente i deleteri effetti con cui la disinvoltura dell’ente petrolifero ha danneggiato il prestigio e l’autorevolezza dello Stato repubblicano.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta condussi apertamente una polemica a nome del mio partito su una disinvolta gestione dei rapporti internazionali dell’Eni.
Anche in quella circostanza l’intreccio, non sempre limpido, nelle relazioni tra interessi nazionali e comportamenti internazionali del potente gruppo economico, trovarono adesioni e sostegno tra forze politiche, compiacenze sindacali, e debolezze istituzionali.
Ma il sistema politico repubblicano resistette e domò i desideri e le pulsioni extraistituzionali dell’Eni.
Negli ultimi trent’anni il decomporsi del sistema politico ha favorito le aspirazioni del potentato economico Eni.
Sfacciatamente, oggi, può essere sostenuto da un funzionario dell’ufficio stampa che il suo editoriale era un’ offesa all’interesse nazionale e che andava punito non facendo ricorso al giudice penale, per verificare se vi fosse un reato, ma chiedendo una sanzione civile per mettere a tacere una voce critica e di libera informazione.
Quando il potere economico si appropria delle funzioni dei poteri costituzionali la democrazia patisce e può morire.
E’ stata pessima l’impressione che ho dovuto soffrire come la grande maggioranza del paese che non si esprime, nel vedere nell’incontro tra governo italiano e l’insieme di governi e tribù della Libia, che il capo della delegazione italiana era l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi e la premier Giorgia Meloni un’assistente.
Ciò ha consentito al capo ufficio stampa, con imprudenza, di poter affermare che il processo Regeni sarà subordinato alla tenuta dei rapporti Eni in Libia e con l’Egitto.
Caro Rino Formica,
grazie come sempre per il sostegno e una lucidità di analisi che soltanto chi non è animato da calcoli di interesse sembra potersi permettere in questo paese.
Per quanto mi riguarda, non ho veramente niente di personale contro l’ad Descalzi ma sono d’accordo che il vero problema è il ribaltamento di potere tra l’Eni e la politica, cioè tra il controllato e il presunto controllore.
Alcuni lettori ed ex manager dell’energia, anche di Eni, hanno reagito agli articoli di questi giorni.
Colgo l’occasione per chiarire il punto: oggi Eni è un’azienda privata quando si tratta di rivendicare il diritto ai profitti, perfino in tempo di guerra, e pubblica quando afferma la coincidenza tra interesse aziendale e quello nazionale, cosa che significa di solito subordinare il secondo al primo.
Questo credo che sia il problema, personificato nella decisione del governo Meloni di concedere a Descalzi un quarto mandato (o forse in quella di Descalzi di concedere a Giorgia Meloni un primo mandato a palazzo Chigi, ormai diventa difficile distinguere).