Alla fine anche gli italiani si stanno accorgendo dell’inflazione, argomento che pare rimasto tabù per oltre un anno mentre in altri paesi si riempiono le piazze contro il carovita. I dati dell’Istat sull’ultimo trimestre del 2022 certificano quello che molte famiglie già sanno: il potere di acquisto si è ridotto.
Il reddito lordo è salito soltanto dello 0,8 per cento, ma il deflatore dei consumi è stato del 4,7 per cento, come dire che i consumi sono cresciuti in termini di euro spesi ma non di beni e servizi acquistati. Il risultato è che il potere d’acquisto – quanto possiamo comprare a parità di reddito – si è ridotto del 3,7 per cento.
Questo impoverimento generalizzato avveniva mentre molte imprese, invece, ci guadagnavano. Sempre nel quarto trimestre del 2022, infatti, il valore aggiunto prodotto dalle imprese non finanziarie è salito del 3,3 per cento mentre il risultato lordo di gestione del 7,8.
Significa che in tanti hanno alzato i prezzi scommettendo sul fatto che i consumatori avrebbero pagato comunque, almeno per un po’, e che quindi c’era una finestra di tempo per guadagnare di più.
Ma è una finestra che si chiuderà in fretta, perché l’inflazione erode il valore reale dei redditi e distrugge quello dei risparmi, ancora rilevanti per molti italiani.
L’aumento dei tassi di interesse, deciso dalla Bce proprio contro l’inflazione, riduce poi la domanda di mutui e dunque di abitazioni, col risultato che anche il risparmio immobilizzato nel mattone si ridurrà di valore.
L’inflazione è temporanea? Tutto lo è, nella vita, ma di certo non è finita: a marzo è scesa dal 9,1 per cento di febbraio al 7,7, ma soltanto perché si stanno normalizzando i prezzi dell’energia. L’inflazione di fondo, al netto di energia e cibo, continua a scresce, da 6,3 a 6,4 per cento.
Mentre le banche centrali fanno quello che possono, anche la politica nazionale si può attivare. Bisogna aiutare i più poveri, colpiti in modo sproporzionato dall’inflazione, senza sprecare soldi pubblici con aiuti a pioggia (tipo gli sconti universali sulle accise della benzina).
Ma bisogna anche intervenire dove si può per ridurre il potere di mercato di imprese e professionisti che possono alzare i prezzi, il contrario di quello che si prefigge la legge in discussione sull’equo compenso, per esempio. Ma nessuno osa più parlare di liberalizzazioni, nemmeno ora che al governo ci sono sedicenti liberali.
Infine serve responsabilità fiscale, per assicurare ai detentori di debito pubblico italiano che questo e i prossimi governi non cederanno alla tentazione di lasciar corrodere il debito dall’inflazione. La scarsa credibilità ci verrebbe fatta pagare con tassi di interesse più alti sul mercato e regole europee più stringenti nel nuovo Patto di stabilità e crescita.
Chissà se tra le discussioni sui licei made in Italy e uteri in affitto,
il governo Meloni troverà il tempo di occuparsi anche del potere d’acquisto degli italiani.