A New York apre la seconda sede di una delle istituzioni culturali più celebri e più amate del mondo. L’abbiamo visitata in anteprima: un percorso immersivo per capire che non siamo i padroni della Terra
una caverna della conoscenza, un set da kolossal che rimanda un po’ a 2001: Odissea nello spazio , ma anche ai Flintstones. Su Columbus Avenue, a due passi da Central Park, l’American Museum of Natural History di New York si espande ancora. Il Richard Gilder Center for Science, Education and Innovation, dedicato al filantropo americano, apre le porte al pubblico il 4 maggio su 21.368 metri quadrati occupati dal progetto realizzato dallo Studio Gang. Una struttura di calcestruzzo bianco che simula una mastodontica grotta primitiva, che lascia entrare la luce della primavera di New York e che sembra modellata dagli agenti atmosferici e dal tempo. I numeri sono da record: 465 milioni dollari il costo dei lavori; 4 milioni i pezzi della collezione (35 milioni, quelli totali del museo madre), che includono scheletri di dinosauri, minerali, meteoriti, mammiferi, invertebrati, insetti quasi invisibili. Cinque milioni i visitatori che si attendono. Ma non si tratta più di vedere capolavori della tassidermia o oggetti inerti in una vetrina. Il mezzo è il messaggio. «Sei collegato a ogni organismo vivente», recita un messaggio alle pareti. Il presidente dell’American Museum of Natural History Sean M. Decatur spiega: «Questo è un momento storico. Si tratta di aggiornare l’idea di museo. Uno spazio come questo, innovativo sin dalla forma, deve portare a una nuova consapevolezza». «Difesa della biodiversità, cambiamento climatico: durante la pandemia questi temi sono diventati più urgenti – ribatte Ellen V. Futter, presidente emerita che ha avviato il progetto nel 2014 – Viviamo tempi in cui si arriva a negare la scienza. Questo, al contrario, è un monumento alla conoscenza. Quando la superstizione prende il sopravvento, bisogna tornare alla missione di educare». Le nuove generazioni parteciperanno attivamente ai programmi educativi: «Va bene l’intelligenza artificiale, ma ci sono dei limiti – precisa Preeti Gupta, responsabile del settore Youth Learning and Research – i ragazzi devono apprendere dall’esperienza pratica. Tante scuole pubbliche non si possono permettere uno spazio per i laboratori. Noi mettiamo a disposizione questo».
L’Insectarium, al primo piano, è un invito a guardare i più piccoli abitanti del pianeta con occhi diversi. Si potrebbero passare ore a spiare le 30 specie di insetti intenti nelle loro azioni quotidiane nei rispettivi ecosistemi. Una colonia di formiche tropicali è all’opera ventiquattro ore su ventiquattro: eccole collezionare foglie, nutrirsi, difendere le famiglie. Gli alveari, invece, sono qualche metro più in là. «Gli adulti di solito non amano gli insetti – precisa Lauri Halderman, responsabile delle mostre – I bambini, invece, impazziscono. Ma noi vogliamo far cambiare la percezione di tutti. Mostrare quanto gli insetti siano necessari per la vita e per il destino dell’umanità».
Qui al Richard Gilder Center si abbandona una volta per tutte la visione che ispirò i musei di storia naturale figli del positivismo. L’essere umano, se non si fosse capito, è costretto a fare un passo indietro, a confondersi con le altre specie. Più si avanza nel percorso espositivo newyorchese e più diventa chiaro.«Ho immaginato questa struttura come un paesaggio di scoperta, a metà tra il canyon e la caverna – svela l’architetta Jeanne Gang – La costruzione è un invito a conoscere e abbracciare il pianeta, a farsene carico. Mi interessava una struttura aperta, apparentemente naturale, come modellata dalle ere geologiche che mostrasse il contenuto di tutte le collezioni sin dall’atrio. La luce è perfetta. Questo scenario deve alimentare la curiosità, spingere verso l’avventura e la coesistenza pacifica».
Il ponte al terzo piano conduce verso un’area che nasconde segreti: “Invisible Worlds” racconta quanto di fondamentale nel nostro pianeta accade senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Quando succede, come con l’ultima pandemia, è tardi. Nel buio illuminato dalle proiezioni alle pareti si cammina e, attraverso i video, si scoprono le misteriose connessioni tra le singole specie, batteri compresi. Si possono misurare le affinità tra il nostro Dna e quello degli alberi. «Tutta la vita sulla Terra è correlata», ammonisce una proiezione alla parete. Mentre, nell’ultima sala del percorso, un’esperienza immersiva lascia che si sprofondi a 360 gradi nei suoni e nei colori di una foresta pluviale, in un oceano affollato di creature, tra lo stormo di uccelli che invadono lo spazio.
Ma le vere star della nuova ala dell’American Museum of Natural History abitano al Butterfly Vivarium. Qui gli intrusi siamo noi, mentre ottanta specie di farfalle volano libere su 250 metri quadri e non sono ormai più inchiodate in quelle teche che facevano la felicità di Vladimir Nabokov. Hazel Davies è la custode dei loro segreti. Le segue nel percorso di vita dall’inizio alla fine, che siano due settimane o qualche mese. È attenta a scegliere le piante per la loro alimentazione: «Alcune, se eccedono nel pasto di frutta fermentata, rischiano addirittura di ubriacarsi», rivela. Una Blue Morpho amazzonica spiega le ali colorate e si lascia fotografare. Al Richard Gilder Center la Gioconda è lei.