L’ambiente estremo
18 Maggio 2023“È stato un disastro annunciato ma abbiamo ignorato i segnali”
18 Maggio 2023la mappa dei fiumi
di Giulia Arnaldi e Alessandro Fulloni
Terreni secchi, disboscamento, spazi ristretti. Gli esperti: la pioggia record è stata uno choc. Sono 21 quelli esondati (e 35 i Comuni colpiti). Così è saltata la rete dei piccoli corsi d’acqua
Erano 21 i corsi d’acqua esondati alla mezzanotte di ieri, devastando circa 35 Comuni. Le criticità di alcuni tra questi fiumiciattoli e torrentelli che stanno mettendo in ginocchio la Romagna erano state già elencate in un dossier del Wwf, presentato poco prima della pandemia. Ecco il Lamone, per esempio, il caso che forse meglio descrive il disastro in corso. In quindici giorni è esondato due volte, sommergendo mezza Faenza: la prima è stata nella notte tra il 2 e il 3 maggio. Per i tecnici era un problema di «sormonto»: vale a dire che con l’alveo troppo pieno, l’acqua, all’altezza della vicina Bagnacavallo poco più a monte, era andata sopra l’argine — innalzato un secolo fa tenendo conto delle piene di allora, mai più viste sino a questo maggio — sbriciolandolo progressivamente.
Con lavori senza sosta, dopo cinque giorni il punto devastato era stato risistemato. Ma martedì, stavolta nel centro cittadino, l’opera di difesa — adeguata nella scorsa estate — è stata nuovamente «sormontata»: case, attività commerciali, le coltivazioni vicine sono state di nuovo inondate.
Ora Andrea Agapito, biologo, responsabile del settore «Acque» del Wwf e curatore del dossier, dice che «la vicenda del Lamone spiega bene ciò che sta accadendo in Romagna: lungo il suo corso sono progressivamente spariti, e lo denunciammo già nel 2007, i “boschi ripariali”, quella vegetazione golenale che ha un decisivo “effetto spugna”: frena l’acqua straripata, l’assorbe e la restituisce in tempi di siccità».
Se adesso queste difese naturali non ci sono più è perché «stiamo sempre più irreggimentando i fiumi, gli alvei sono stati canalizzati, le aree di esondazione naturale sono state occupate da abitati e coltivazioni».
Il geologo
I parametri dei calcoli idraulici svolti in passato per le opere di difesa
non sono più idonei
Poi c’è un’altra questione: quelli esondati — tipo l’Idice, 78 chilometri di lunghezza, o il Sillaro, 66 — sono tutti fiumiciattoli piccoli e «la loro modesta portata, in un suolo già saturo per l’alluvione di inizio maggio — spiega Mauro Rossi, geologo dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr — si è di colpo ingrossata per via delle precipitazioni intense delle ultime 48 ore».
Difficile dire se una maggiore presenza di bacini di laminazione — i «parcheggi temporanei» delle acque che straripano — avrebbe risparmiato l’alluvione alla Romagna. Sono «difese che non si possono costruire da tutte le parti, perché stravolgerebbero la realtà di questi piccoli centri. Se da un lato possono essere la soluzione dei problemi, dall’altro ne creerebbero altri, dalla modifica del paesaggio a un problema di evaporazione che può danneggiare le coltivazioni in caso di siccità. Va detto anche che il territorio tra colline e pianura è costituito da materiale che accetta poca acqua e dunque il riassorbimento è minimo».
Tutto va inquadrato in uno scenario che vede «una frequenza sempre maggiore di eventi estremi — riassume il presidente del Consiglio nazionale dei geologi Francesco Violo — che impatta in un territorio urbanizzato negli ultimi anni in maniera molto intensiva, con alte percentuali di consumo di suolo». «Bombe d’acqua» e piogge prolungate «amplificano le difficoltà anche in questa parte dell’Italia dove la manutenzione si fa». Semmai «i parametri dei calcoli idraulici svolti nel passato per le opere di difesa non sono più idonei». La soluzione? «Aggiornare il modo di progettare, adattarsi alle condizioni nuove, con piani per interventi strutturali e con presidi territoriali in grado di monitorare il territorio intervenendo con tempestività».