È quello della storia dipinto da Paul Klee e descritto in un saggio da Walter Benjamin Ma i messaggeri celesti ispirano ancora
di Achille Bonito Oliva
Credo dobbiamo subito riconoscere che l’angelo protettore per quanto riguarda gli artisti non può che essere Paul Klee e per quanto riguarda i critici Walter Benjamin, non foss’altro per i saggi di Walter Benjamin sull’Angelus Novus di Paul Klee. «C’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta» (W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, inAngelus Novus).
Questa è l’immagine dell’arte che sfida il tempo ma non lo ferma nel suo precipitare al di fuori dell’opera. Dall’alto della sua condizione ammira un paesaggio non molto ameno, fatto di frammenti e detriti che costituiscono le scorie di una storia fatta di strappi, di ragionevole e raggelante continuità. L’angelo dell’arte respira un senso della storia che si produce a balzi, a forza di lacerazioni che non consentono ricuciture o accomodanti rammendi. L’arte detiene la profonda coscienza del tempo, l’interna sapienza della sua irresistibilità. La posizione fondante dell’arte è il nomadismo, il continuo spostamento verso il proprio confine, verso la frattura di ogni equilibrio del linguaggio. E questo avviene attraverso la differenza dell’opera, che si rifiuta di omologarsi con le altre opere e vive la condizione solitaria della propria superba discontinuità.
Questo tema non è né desueto né assolutamente consunto, ma semmai abusato. Non è consumato per il fatto che Benjamin riesce ad individuare nella novità dell’Angelus Novus di Klee direi proprio quello che possiamo chiamare un carattere, la posizione strabica dell’angelo dalla faccia rivolta al passato e le ali rivolte al futuro. L’Angelus Novus è quella figura che vive una doppia trazione, diciamo una posizione astratta che appartiene proprio all’arte e all’artista che sviluppa un linguaggio, un astratto siluro che disturba la storia lanciata verso spazi e tempi che vanno al di là della sua stessa esistenza.
Se dovessi individuare un angelo protettore che scavalca l’arte contemporanea e cavalca il movimento eccellente dell’arte in generale, penso a Borromini che diventa, alla fine, la figura protettrice per eccellenza del tutto, perché nella sua architettura ha sviluppato una pietas, un movimento spaziale che non è strabico come quello di Klee, ma tende a rappresentare una partecipazione angosciata alla storia, un movimento a spirale teso verso l’alto, verso un’impossibile chiusura e pacificazione.
Partendo dall’etimo della parola “angelo”, che significa portatore, che porta una novella, una notizia e quindi un’idea del nuovo che da una parte possiede l’aspetto fragile del catastrofico, che sviluppa una rottura, un’apertura verso l’imprevisto e dall’altra parte ne stabilizza la comunicazione, il lavoro di Vettor Pisani gioca tra alchimia e ironia, un discorso alchemico fatto di sottofondi dove comunque la comunicazione produce svelamenti parziali. Per Pisani la sfinge è l’angelo.
Nel caso di Mario Ceroli l’angelo assume il soffio del disegno e la materia del legno. Un’apparizione sotto il segno del volo che appartiene all’opera storica di questo artista, esploratore dello spazio e indicatore delle diverse dimensioni dell’arte: pittura, scultura, disegno e installazioni. Mimmo Paladino ci ha abituati ad angeli che precipitano sulla superficie della tela, un vento scorrevole che sbarazza l’arte da ogni cronologia e ne determina invece uno spazio aperto e continuo ambrato dal colore e da un segno che accenna al corpo dell’angelo.
Naturalmente la storia degli angeli dell’arte contemporanea passa anche a metà del XX secolo attraverso l’opera di Licini che ne ha rappresentato la disubbidienza con l’angelo “ribelle”. La ribellione dell’arte infatti trova in quella degli angeli la provadi una stessa altitudine: saper volare in tutte le direzioni. Così come fanno gli angeli di Wim Wenders che volano sopra Berlino, ma in realtà rappresentano la metafora dello sguardo dell’artista che circola liberamente con la propria macchina da presa nelle cose del mondo.
L’artista e l’angelo sono veri “inviati speciali” nella realtà. In questo spazio della circolarità l’angelo può prendere varie sembianze, l’iconografia dell’angelo contemporaneo può passare anche attraverso la conferma fatale come nel caso di un altro artista della transavanguardia, Enzo Cucchi, che tende a rappresentare l’angelo in una sua posizione giacente, con piccole ali sormontate che gli permettono di galleggiare nello spazio non solo della pittura ma nello spazio della memoria, nello spazio fantasmatico di una pura apparizione immateriale. Nel caso di Cucchi l’angelo conferma proprio che è una presenza che non tende ad approfittare del vuoto della volta celeste e dello spazio pittorico, ma ha una capacità di spostarsi verso terra nella direzione frugale del presente ma con una forza spirituale e una fantasia che lasciano sospettare un cielo sotterraneo.
L’arte presuppone l’opera ed il fare, il risultato eccellente ed il processo per arrivarci. L’arte è l’approdo in un luogo non delimitato ma segnalato sicuramente dal desiderio di non morire.