Il clan della piazza Rossa
di Anna Zafesova
Le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in una triste piega di Vladimir Putin hanno tolto dall’imbarazzo, con 24 ore di ritardo, la nomenclatura russa, rimasta incerta se inneggiare alla eliminazione di un “traditore” o piangere la caduta di un “eroe”. Il consiglio pubblicato subito dopo l’annuncio della morte di Evgeny Prigozhin da un peso massimo della propaganda come Vladimir Solovyov – «Colleghi, rimango consapevolmente muto, il silenzio vale più dell’oro» – è diventato per un ordine di scuderia, a conferma del fatto che lo schianto del suo aereo è stato interpretato unanimemente come una punizione del Cremlino. Che a sua volta ha aspettato a reagire, in una tattica abituale del presidente russo, per vedere se la reazione di quei russi che hanno portato fiori ed emblemi della Wagner sotto il quartier generale dei mercenari a Pietroburgo si sarebbe limitata a un cordoglio esibito sui social. Il necrologio del presidente – «un uomo con un destino complicato», un eufemismo nemmeno troppo velato ai trascorsi carcerari di Prigozhin, insieme però alla rievocazione di un’antica amicizia nella Pietroburgo degli Anni 90 – è un segnale che il caso Wagner viene considerato quasi chiuso. I campi dei mercenari in Belarus vengono già smantellati, e molti membri dell'”orchestra” stanno firmando contratti con altri eserciti privati o con il ministero della Difesa russo, mentre i comandanti sopravvissuti dei Wagner non hanno preso posizione pubblica, forse in attesa di un’offerta non rifiutabile dal Cremlino.
Rimane qualche imbarazzo sul funerale, una volta che i resti delle vittime dello schianto verranno identificati con il test del Dna: pur non avendo nessun grado militare, Prigozhin era una delle persone più decorate del Paese, e la sua stella dorata di Eroe della Russia gli darebbe diritto alle esequie di Stato del grado più elevato, con sepoltura nel pantheon nazionale e presenza del comando militare supremo (cioè proprio i suoi nemici giurati). L’alternativa potrebbe essere una cerimonia sontuosa nella sua Pietroburgo, ma anche lì ha lasciato diversi nemici: il governatore Aleksandr Beglov, perseguitato per anni da Prigozhin, ha inaugurato ieri la seduta del consiglio comunale con una frase la cui traduzione edulcorata potrebbe suonare come: «Visto cosa è successo a quello che credeva di averlo più lungo?». I Wagner e il loro brutale fondatore erano diventati improvvisamente popolari, ma anche la lista dei loro nemici è molto lunga: non solo ovviamente gli ucraini, uccisi e torturati dai mercenari, anche i generali del ministero della Difesa russo, i detenuti che avevano usato come carne da cannone, alcuni oligarchi, e perfino i colleghi ultranazionalisti, verso i quali Prigozhin non risparmiava insulti provocatori. Oggi, con vari gradi di prudenza, molti commentatori moscoviti convengono nell’identificare la colpa di Prigozhin più o meno nei termini utilizzati da Beglov: uno che ha osato troppo.
Un capobanda che è andato contro il boss, violando patti e confini, più che un eroe della protesta, ruolo assunto da Prigozhin forse quasi casualmente, in quella che considerava una lotta per il potere interna alla “cupola” del Cremlino. A dimostrare che era una questione anche di affari sono le indiscrezioni del sito Vazhnye Istorii: nei due mesi successivi al tentato golpe dei Wagner le società di mercenari concorrenti hanno reclutato i “musicisti”, soprattutto per missioni africane. Prigozhin considerava le operazioni nel Continente Nero un suo monopolio, un feudo che il Cremlino gli aveva garantito in cambio dell’uscita dalla Russia, ma il canale Telegram di gole profonde VchK-GPU sostiene che il generale dello spionaggio militare Gru Andrey Averyanov – dalla cui costola erano nati i Wagner – voleva sostituirli in Africa con un contingente di 20 mila soldati russi. Negli ultimi giorni la società di contractor Redut – legata, secondo molte voci, al petroliere Gennady Timchenko, intimo di Putin da 25 anni – stava reclutando per «un lavoro vero in Africa», con lo slogan «Wagner è ormai il passato!». E la società di mercenari Konvoy, fondata dal “premier” della Crimea annessa Sergey Aksyonov, è stata affidata a Konstantin Pikalov, nome in codice Mazay, ritenuto l’ex braccio destro di Prigozhin in Africa, che ha dichiarato a Vazhnye Istorii di star reclutando combattenti e piloti per «aprire il secondo fronte russo» in otto Paesi africani.
Un contesto che potrebbe spiegare come mai il Cremlino ha avuto bisogno di due mesi di finta tregua con Prigozhin, per preparare la sua sostituzione e negoziarla con i suoi interlocutori africani. E come mai molti esponenti del putinismo, pur atterriti dal modo brutale e ostentato con il quale i capi dei Wagner sono stati tolti dalla circolazione, abbiano probabilmente tifato per la loro eliminazione. Il “cuoco di Putin” che uccideva i nemici a martellate faceva troppa paura, e i suoi asset militari ed economici facevano troppa gola. La sua morte riconferma il presidente come arbitro supremo e unico dispensatore di potere e ricchezza a Mosca, che non tollera nessun dissenso. Chi in Occidente temeva di dover negoziare in caso di golpe con un tagliagole come Prigozhin, ora però rischia di non avere più nessun interlocutore: difficile che qualcuno al Cremlino abbia ancora il coraggio, dopo la fine fatta da Prigozhin, di dire a Putin che sta sbagliando.