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27 Agosto 2023L’agronomo Zangari: serve un piano, non c’è
Giulio Gori
«Anche un solo albero incide positivamente sul microclima. Per cui bisogna piantarne il più possibile, dove possibile». A dirlo è l’agronomo Francesco Zangari, tra i più attenti osservatori delle trasformazioni delle alberature a Firenze. Che però ammonisce: «Perché un albero possa attecchire e darci benefici, ci sono molte condizioni di cui tenere conto».
Firenze è una città già caldissima, ma le «isole di calore» in alcune zone rendono la situazione ancora peggiore. Come ci siamo arrivati?
«Se si guarda la mappa della città, ci sono zone senza verde dove si vedono solo tetti e asfalto. Tutto nasce dal fatto che i vecchi centri storici avevano pochissimo verde, ma almeno erano circondati dalle campagne, che mitigavano il calore. Oggi invece dove c’erano campi, alberi e orti — come a Scandicci e a Bagno a Ripoli — si è costruito ovunque».
Serve un Piano del Verde?
«Da un recente rapporto di Ispra, tra le città toscane esaminate, solo Prato sembra aver già adottato un suo Piano del Verde. Di certo serve intervenire in larga scala, anche un solo un albero non appena c’è un angolo di spazio. C’è un vecchio studio su Firenze, si chiamava “Tree-Street”, che prevedeva tantissimi di questi microinterventi».
E riempire di alberi piazza del Carmine?
«Giusto. Penso anche a chiudere dei piccoli pezzi di Cascine per farci crescere spontaneamente bosco. Però un Piano del Verde deve tenere conto di un punto imprescindibile: sentire i cittadini, le loro esigenze. E non a posteriori, quando il progetto è fatto. Perché nessuno come loro conosce il territorio. Poi il progettista valuta e sceglie, ma gli abitanti di un quartiere sono un patrimonio conoscitivo enorme».
Invece si ascoltano solo a posteriori?
«Non solo i cittadini, anche noi esperti. Un collega agronomo fu chiamato a dare un parere sugli alberi da mettere in via dello Statuto, durante i lavori per la tramvia. Ma avevano già fatto le vasche di cemento per metterceli. E lui rispose: “Se mi chiamavate prima, magari vi dicevo anche come farle queste vasche”».
C’è un grande dilemma tra voi esperti: quando ci sono alberi malati, bisogna sostituire anche quelli sani e fare un filare coerente, o è meglio inserire il nuovo accanto al vecchio?
«Faccio parte della seconda scuola di pensiero. La prima opzione è dettata da ragioni di risparmio, con un filare coerente la manutenzione è più semplice e costa di meno. Ma per tornare ad avere dei benefici da un filare di alberi tutti nuovi ci vogliono anni. E spesso, le nuove piante, se non ne hanno accanto una più grande che fa ombra, rischiano di non attecchire».
Vanno salvati anche i pini?
«Ne vanno salvati il più possibile. La gente ha paura, ma voglio ricordare che a Firenze le morti causate da tutti gli alberi sono 5 dal 1995 ad oggi. Attraversare le strisce pedonali fa 10 morti all’anno».
Cos’altro serve a Firenze?
«Piantare specie diverse: in lungarno della Zecca, ricorrere ad alberi diversi ha fatto sì che se alcuni sono morti perché si sono dimostrati inadatti, gli altri si sono salvati e ora sappiamo qual è la scelta giusta. E abbiamo ombra. Poi servono aiuole non rialzate, ma a raso, che recepiscano acqua piovana. E siepi».
Ovvero?
«Firenze una volta era piena di siepi, poi sono state via via eliminate. Però, oltre a trattenere lo smog, facevano ombra alle radici degli alberi riducendo l’evaporazione».
Al Parco di San Donato dopo anni ci sono ancora solo alberelli. Perché?
«Sono stati fatti degli esperimenti sbagliati. Può succedere. Mi sembra peggio quanto fatto in via dello Statuto, dove si è scelto il carpino, che è allergenico. Per gli abitanti è un grave problema».
E dei futuri aranci in via Cavour cosa pensa?
«Gli aranci amari resistono bene al freddo e sono molto belli. Però le loro chiome sono molto ridotte e il loro effetto di mitigazione del caldo è quasi nullo».
Il caso della Mattonaia, gli orti trasformati in parcheggio a Gavinana, che impressione le fa?
«Se l’obiettivo è ridurre le isole di calore e si agisce al contrario…».
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