Can art change the world? The work of street artist JR – in pictures
9 Settembre 2023Nuovi addii nel Pd La minoranza a Schlein “Non obbediamo più”
9 Settembre 2023La Nota
di Massimo Franco
In apparenza la traiettoria delle riforme rimane quella di «prima»: prima che si capisse che i margini di spesa si sono drasticamente assottigliati; prima che la trattativa con l’Europa sul Patto di stabilità si complicasse; e prima che si confermasse l’impossibilità di conciliare le generose promesse elettorali con un’economia in forte rallentamento. Così, mentre le opposizioni sperano di riuscire in qualche modo a mettere in difficoltà il governo, senza riuscirci molto, la maggioranza di destra segue imperterrita la sua tabella di marcia.
Anche se si è sempre più consapevoli che si tratta di una tabella virtuale; e che col passare dei mesi lo sarà sempre di più. Ieri, la ministra delle Riforme, Maria Elisabetta Casellati ha spiegato che le proposte «sono sul tavolo dei leader del centrodestra. Le approveranno nel prossimo Consiglio dei ministri possibile». Ma ha aggiunto di non potere indicare una data, perché «c’è troppo lavoro in corso». Si è solo limitata a spezzare una lancia a favore dell’autonomia differenziata delle regioni, cara alla Lega.
Non è necessaria troppa malizia per intravedere uno slittamento a tempo indeterminato di alcuni dei progetti, contestati e considerati inattuabili. Questo vale per il sistema regionale che il ministro leghista Roberto Calderoli considera da cambiare, ma scontrandosi con FdI, partito della premier Giorgia Meloni, e con FI: entrambi temono che possa danneggiarli nel voto del Mezzogiorno. Di rimbalzo, lo stesso premierato voluto fortemente da Palazzo Chigi sta diventando una bandiera da piantare non si capisce bene quando.
Gli uomini del Carroccio hanno sempre detto che autonomia differenziata e presidenzialismo sono riforme siamesi: debbono procedere appaiate, altrimenti entrambe cadono. Sarà un caso, ma dopo che Meloni aveva invitato a prepararsi a un referendum costituzionale, ieri il presidente leghista della Camera, Lorenzo Fontana, sembra averlo implicitamente bocciato. «Quando si fanno le riforme», ha detto, «non bisogna avere fretta. Bisogna ottenere la maggioranza più larga possibile».
Sono indizi di un conflitto strisciante nella coalizione, destinato a spostarsi su questo terreno anche per la riforma fiscale, per forza di cose ridimensionata; e per quella delle pensioni. Perfino un mega-progetto sul quale Salvini insiste molto, il leggendario ponte sullo Stretto di Messina, assimilabile a una Grande Riforma per il tempo e i soldi sprecati negli anni, dovrà rallentare: scarseggiano i fondi. E c’è da scommettere che presto si arriverà a uno scambio di accuse sulle responsabilità del passato. Ma anche tra alleati, se i sondaggi dovessero cominciare a dare segnali poco rassicuranti.