Il pacchetto previdenza, in pratica, introduce criteri più stringenti degli attuali e rende il pensionamento più difficile, ben al di là delle aspettative che pure non erano alte. Partiamo dalla novità più inattesa: l’inasprimento della Fornero. La riforma approvata dal governo Monti prevedeva – per le persone che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 – la possibilità di andare in pensione anticipata, calcolata tutta con il contributivo, a 64 anni (tre anni prima di aver raggiunto il requisito di vecchiaia). Questo però era possibile a patto di aver maturato, in tale data, un importo pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Tradotto: se ti spetta una pensione di almeno 1.409 euro, puoi andarci. La manovra del governo Meloni porta quel requisito a 3,3 volte il minimo con l’importo a 1.660 euro al mese.
Una mossa che ha la firma del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari (Fratelli d’Italia) e che ha fatto imbestialire il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, esponente della Lega ovvero il partito più esposto sull’argomento pensioni. Si abbassa, invece, il requisito per la pensione di vecchiaia a 67 anni: l’assegno maturato deve essere pari al minimo, non 1,5 volte il minimo. Quanto all’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita, il meccanismo – che nella pratica innalza ciclicamente il requisito di età – era stato congelato fino a tutto il 2026, quindi fino a tale data sono stati scongiurati gli aumenti; la manovra lo “scongela” dalla fine del 2024.
C’è poi la nuova Quota 104: nel 2024, l’uscita anticipata sarà possibile con 41 anni di contributi e 63 di età. Un anno anagrafico in più rispetto al 2023, ma non è l’unica novità: c’è anche una penalizzazione per chi l’anno prossimo deciderà di beneficiare di questa via per la pensione. Infatti, l’articolo 30 stabilisce un complesso metodo di calcolo che ha come effetto quello di ridurre la quota retributiva. Ancora, l’Ape sociale è stata rinnovata, con la stessa platea: disoccupati, persone con obblighi di cura, invalidi almeno al 74% e persone che svolgono mansioni gravose. Il requisito di età passa a 63 anni e 5 mesi (prima erano sufficienti 63). Per le lavoratrici arriva l’Ape donna: un pensionamento con 35 anni di contributi e 61 anni di età, che diventano 60 per chi ha un figlio e 59 per chi ne ha almeno due. Le aspettative di chi voleva anticipare il pensionamento si sono scontrate con la realtà, soprattutto per i 50/60enni che costituiscono lo zoccolo duro dell’elettorato del centrodestra. Solo un po’ più soddisfatti saranno i pensionati: la rivalutazione in base all’inflazione sarà piena a chi prende quattro volte il minimo; fra quattro e cinque volte, invece, arriverà al 90%. Sopra 10 volte il minimo si fermerà al 22%. In ogni caso è prevista una commissione per stabilire i parametri di rivalutazione a partire dal 2027.
Sembra invece rientrato il pasticcio del taglio del cuneo fiscale. Subito dopo l’approvazione in Cdm, Giorgia Meloni aveva detto che lo sconto contributivo era prorogato in modo identico a quello del 2023, quindi a due fasce: sette punti fino a 25 mila euro, sei punti fino a 35 mila. L’altroieri, invece, il comunicato del governo era stato modificato e nella nuova versione si parlava di uno sconto minore e con più scaglioni: taglio al 7% solo fino a 15 mila euro, e l’aggiunta di altre tre fasce rispettivamente al 5%, al 4% e al 3%. La comunicazione aveva mandato in allarme i sindacati, ma poi il Mef ha smentito. La bozza della manovra conferma le due fasce, quindi quanto detto da Meloni la settimana scorsa.