Novantuno articoli contenuti in un centinaio di pagine per un valore complessivo di 24 miliardi di euro. Ci metterà ben più di una settimana la legge di bilancio per fare qualche centinaio di metri da palazzo Chigi alla commissione Bilancio del Senato, passando per Bruxelles. In attesa di giovedì o venerdì, per ora c’è un brogliaccio. Questa sarebbe la legge economica più importante dell’anno, dicono.

L’IMPIANTO REGRESSIVO, austeritario e illusionistico impresso da Meloni & Co. non è cambiato: la manovra era e resta modesta, frutto di un esercizio ragionieristico che conferma la sostanziale impotenza dei governi italiani rispetto ai vincoli esterni europei e alle congiunture caotiche dell’economia di guerra e della policrisi capitalistica. E nelle prossime ore la manovra cambierà a causa del salto carpiato al quale l’esecutivo sta sottoponendo la propria maggioranza. L’avere formalmente vietato di presentare emendamenti (se non quelli «migliorativi» si sussurra nel sottobosco parlamentare) implica la necessità di battere i record: cambiare in queste ore la manovra e anticipare i futuribili cambiamenti prima che arrivi in aula.

NEL MAGMA INFORME delle micro-norme snocciolate ieri ad uso dei media, ci sono i primi effetti delle criteri usati dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti nel suo contorsionismo contabile: da un lato, il deficit da quasi 16 miliardi di euro va finanziato con tagli e aumenti di tasse; dall’altro lato, lo stesso deficit servirà in gran parte (10 miliardi) a pagare l’effimero taglio del cuneo fiscale attraverso il quale si cerca di tamponare la perdita del potere di acquisto dei lavoratori dipendenti con reddito medio-basso.

QUELLO CHE PER ORA sembra certo è che non ci saranno 100 euro in più in busta pa0ga, ma aumenti risibili di 1,38 euro al mese per un salario lordo di 20 mila euro all’anno, una perdita di 6,86 euro per un salario lordo di 31 mila euro (89,18 euro in meno all’anno), un taglio di 25,49 euro per un salario lordo di 35 mila (331,37 euro in meno all’anno). Soldi, ha osservato il segretario confederale Cgil Christian Ferrari, che finanzieranno «una scellerata e poco costituzionale riforma fiscale e pur di trovarle le toglie proprio a chi dice di volerle dare, i lavoratori a basso e reddito».

IN QUESTA PROSPETTIVA va intesa anche la spending review per gli enti locali da 600 milioni l’anno, 350 a carico delle Regioni, 200 milioni dei Comuni e 50 milioni di taglio annuo per le Province. Dovrebbe essere l’antipasto dei tagli lineari pari al 5% alle spese «discrezionali» dei ministeri e, a questo punto, anche della pubblica amministrazione in senso esteso. In totale, solo nel 2024, dovrebbero essere 1,9 miliardi per poi salire nel prossimo triennio. Per il presidente Anci, sindaco di Bari, De Caro i tagli provocheranno un «clima di tensione e di crisi sociale». Di certo è un altro colpo dopo i 13 miliardi dirottati dal Pnrr. Non va dimenticato il mostruoso, e poco realistico, piano delle privatizzazioni: 20 miliardi di euro in tre anni. Serviranno a diminuire il debito pubblico. Impresa fallimentare, lo dimostrano 30 anni di privatizzazioni, ma tecnica formidabile per rafforzare la rendita.

PER TROVARE una copertura ad altri interventi annunciati (i rinnovi contrattuali nella pubblica amministrazione o sanità, le spese militari) torna un classico: l’aumento fino a 12 centesimi delle sigarette, tabacco trinciato compreso (30 centesimi a busta). Fondi che potrebbero essere trovati dalla plastic e dalla sugar tax che però sono state rinviate ancora per evitare le proteste delle aziende produttrici.

ALLA STESSA LOGICA è ispirata la norma che aumenterà l’Iva dal 5% al 10% sui prodotti dell’infanzia e sugli assorbenti. Il governo che vuole aiutare le famiglie, parla di bonus asili nido e di sgravi fiscali per assumere le donne le penalizza in un altro modo. Oppure nell’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi (dal 21% al 26%). In sé potrebbe aumentare il nero, tra l’altro in mancanza di una regolamentazione vera. Quella annunciata dalla ministra Santanché è contestata da molti sindaci. Ieri la ministra non sapeva ancora dire se ci sarà un decreto o altro.

DI QUESTI PARADOSSI la storia dell’economia è ricca. Un tempo ci fu l’«austerità flessibile». La manovra «seria» dal governo partecipa allo stesso campionato della bêtise: idiozia, stupidità o. detto più elegantemente, inopportunità. Quando la polvere si sarà posata resterà solo un altro tratto sulla sabbia.