E ora un vero progetto industriale di area…
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18 Dicembre 2023
Nulla di nuovo sotto il sole, nemmeno sotto quello pallido di dicembre. Sono in molti a non stupirsi, nemmeno e soprattutto tra i candidati, per le nomine ministeriali alla direzione dei principali musei statali italiani, arrivate venerdì sera: e non tanto perché confermano molte delle voci circolate negli ultimi giorni, ma perché non sorprendono come tipo di scenario. La lunga e difficile procedura del concorso ha portato a risultati che ribadiscono almeno in parte la linea dell’attuale governo di optare per nomine di tipo politico, come accaduto in altri settori culturali. Accanto a nomi difficilmente contestabili come Eike Schmidt a Capodimonte (annunciatissimo, per altro anche come candidato sindaco di Firenze per il centrodestra: ora resta da capire cosa accadrà) e Simone Verde, reduce dall’exploit della Pilotta, agli Uffizi, entrambi alla guida di musei di prima fascia e quindi scelti dal ministro Sangiuliano entro una rosa di tre, o ancora a fianco di nomine più tecniche nei musei archeologici di seconda fascia – dove il compito di decidere è affidato invece al responsabile della Direzione Musei Massimo Osanna, già alla guida di Pompei – è difficile dare torto a chi ritiene, come ad esempio ha fatto a caldo il sito specializzato Artribune, che «in alcuni casi i musei sono stati affidati a chi aveva curricula e titoli meno solidi, ma maggiori relazioni personali o un posizionamento politico affine al governo in carica». Sono due i casi più vistosi. Il primo è quello di Angelo Crespi a Brera, pinacoteca di prima fascia. Crespi, che non ha mai fatto segreto delle proprie preferenze politiche (dal 2002 al
2009 ha diretto “Il Domenicale” di Dell’Utri e dal 2008 al 2011 è stato consigliere di Sandro Bondi), è giornalista e attuale presidente del MaGa di Gallarate. Ha superato la diretta concorrenza tra gli altri di Emanuela Daffra, già direttrice del Polo Museale della Lombardia; Beatrice Maria Bentivoglio-Ravasio, già soprintendente in Piemonte; Cristiana Collu, che aveva guidato la Galleria Nazionale a Roma; Flaminia Gennari Santori, direttrice uscente delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma; Cecilie Hollberg, anche lei in uscita dalla Galleria dell’Accademia di Firenze, e Marco Pierini, ottimo direttore della Galleria nazionale dell’Umbria (e quello di Brera è un elenco solo parziale dei bocciati eccellenti di questo concorso).
Crespi però ha certamente esperienza nel settore culturale e in particolare nel management: forse è proprio quanto cercava il ministro? Tanto l’esperienza settoriale di Crespi quanto una specializzazione storicoartistica sembrano però mancare ad Alessandra Necci, neodirettrice delle Gallerie Estensi di Modena, museo di seconda fascia.
Necci è definita dal Ministero della Cultura “storica” ma, stando al lunghissimo curriculum pubblicato sul suo sito internet, ha studi in legge con specializzazione parigina a Science Po. A livello professionale si è occupata di politiche comunitarie, trasporti, microcredito, oltre che di “sistemi infrastrutturali materiali e immateriali” e “Euromediterraneo” in qualità di segretario generale della fondazione intitolata al padre Lorenzo Necci, l’ideatore dell’alta velocità.
Dal 2008 al 2013 è stata consigliere del Presidente del Senato Renato Schifani per la parte culturale. Nel 2003 ha avviato una carriera di scrittrice, tra romanzi e biografie storiche dedicate in particolare a donne illustri. Dal 2015 è docente a contratto di Storia dell’economia e dell’impresa alla Luiss. Nel rush finale è stata preferita a Paola D’Agostino, direttrice del Museo del Bargello (anche il suo curriculum, piuttosto differente, può essere consultato in rete). È evidente che tutto questo non può essere un giudizio in anticipo e ci si augura che la dottoressa Necci possa dimostrarsi un’eccellente direttrice. Siamo certi che, nonostante i suoi titoli non siano oggettivamente confrontabili con quelli dei colleghi sul fronte accademico e museale, le sue prove siano state le più convincenti. E a tutti, indistintamente, auguriamo buon lavoro. Eppure è difficile, in particolare nell’era della meritocrazia inquartata dal governo nei blasoni ministeriali, non pensare a come tutto questo suoni strano con quanto proprio venerdì Sangiuliano affermava ad Atreju nel convegno dal titolo “Bentornata cultura: verso un nuovo Rinascimento italiano”: «Credo in una cultura plurale: non voglio sostituire alla precedente egemonia una nuova egemonia». Ma a ben vedere l’egemonia politica non sarebbe neppure un problema, se premiasse soltanto le competenze.