Il nome scelto e proposto è “Aspis”. In greco antico significa “scudo”, e trasmette subito il senso della missione europea a protezione dei mercantili nel mirino degli Houthi, i ribelli yemeniti al soldo dell’Iran.
L’Europa vuole accelerare. Gli attacchi angloamericani al gruppo di islamisti sciiti hanno innescato una prima escalation nell’area. I grandi armatori sono preoccupati, le rotte commerciali intossicate da missili e droni rischiano di essere definitivamente compromesse, con un contraccolpo fatale sull’economia dell’Unione e dei singoli Paesi membri.
Il via libera sarà formalmente il 19 febbraio, ma già lunedì 22 gennaio i ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles daranno l’ok alla proposta del Seae, il servizio per l’Azione esterna dell’Unione europea, guidato dall’Alto Rappresentante Josep Borrell, proposta anticipata da La Stampa la scorsa settimana e al centro di un primo confronto l’altro ieri a Bruxelles durante il Comitato politico e di sicurezza.
Tra le due ipotesi vagliate – una minima che prevedeva lo scudo solo sul Mar Rosso, e un’altra estesa al Golfo Persico – alla fine è stata scelta la seconda. L’Italia ha spinto per questa soluzione assieme a Francia e Germania. Il consenso è stato pressoché unanime tra i 27 rappresentanti seduti al tavolo del Cops. La missione Ue sarà agganciata alla già esistente Agenor, il ramo militare della più ampia Emasoh, che opera dal febbraio 2020 nello Stretto di Hormuz prolungandosi verso nord, verso il Golfo Persico. Significa aver optato per la soluzione meno semplice, la più insidiosa. Perché le navi entreranno a contatto con i confini dell’Iran, di fatto il padre padrone che finanzia e sobilla gli Houthi contro i bastimenti dell’Occidente.
Il veto spagnolo ha reso impossibile inglobare Atalanta, l’operazione di anti-pirateria al largo della Somalia, ma da Madrid il premier Pedro Sanchez ha fatto sapere che non ci sarà alcuna opposizione ad Aspis. Il quartier generale di Agenor (anche in questo caso un termine della mitologia greca: è il figlio di Poseidone, il dio del mare) è negli Emirati Arabi, ad Abu Dhabi, e la guida è francese. Ancora non è chiaro chi sarà invece alla testa della nuova missione Aspis, ma l’Italia è certamente tra i candidati per ospitare la sede operativa principale. Saranno coinvolti i regni del Golfo, la Norvegia, e i Paesi costieri africani più interessati, Gibuti, Eritrea ed Egitto, quest’ultimo in assoluto il più colpito dal pesante calo del traffico nel canale di Suez. Di sicuro ci saranno navi italiane, confermano fonti di governo. Al momento la Marina Militare garantisce nel Mar Rosso la presenza di due fregate: la Fasan, inviata sulla prima linea poco prima di Natale, e la Martinengo, che ha una dotazione molto più potente. La rimodulazione della missione di fatto creerà un coordinamento tra le marine nazionali che stanno già operando a difesa dei cargo, scortando i mercantili. Ci sarà un avvicendamento e una rotazione delle fregate (la Fasan è in fase di ritiro, come avvenuto a settembre per la Luigi Rizzo, utilizzata da Agenor e rientrata a La Spezia).
Ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto chiaramente che ci sarà un passaggio alle Camere, per spiegare gli obiettivi della partecipazione italiana ad Aspis: «Siamo pronti ad andare in parlamento e a illustrare tutte le attività che stiamo svolgendo per garantire la sicurezza della navigazione». Per Tajani questa missione potrebbe anche rappresentare la spinta decisiva «per la creazione di una difesa comune europea», come ha detto confrontandosi con gli ambasciatori. «Questo è un caso decisivo – sono state le sue parole –: su una crisi che impatta sulla nostra sicurezza e sulla nostra economia, anche i cittadini più distratti capiscono che le nostre navi e le nostre merci devono avere libertà di circolazione. Dobbiamo fare con la difesa quello che abbiamo fatto venti anni fa con l’euro. Sembra impossibile, ma non lo è».
Tema a lungo dibattuto, in una guerra che, pezzo dopo pezzo, assume dimensioni globali, la difesa comune renderebbe l’Unione autonoma da Washington quasi ottant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La battaglia contro gli Houthi rappresenta effettivamente un buon banco di prova. L’operazione Aspis collaborerà alla missione angloamericana Prosperity Guardian ma senza essere coinvolta nella parte offensiva, per intenderci non partiranno missili contro le basi degli Houthi su territorio dello Yemen. L’Italia, come tutti gli altri paesi dell’Ue tranne Germania, Olanda e Danimarca, si è sfilata anche dalla firma del comunicato collettivo a sostegno dei raid. Lo ha fatto per una scelta di diplomazia comune e per mettersi al riparo da possibili ritorsioni, quelle che hanno subito minacciato gli islamisti.
Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto hanno presentato un’informativa al Consiglio dei ministri alla luce degli attacchi che si sono intensificati negli ultimi giorni. «La riduzione del traffico di Suez Ci preoccupa per le conseguenze economiche e per la competitività dei nostri porti, Genova, Gioia Tauro, Trieste e Brindisi – è la spiegazione di Tajani –. Siamo passati da 400 navi al giorno a 250. Vuol dire che sono aumentati e non di poco i costi assicurativi e si allungano i tempi di percorrenza, anche di 15 giorni, per fare il giro dell’Africa». Le regole d’ingaggio, spiegano fonti della Difesa, non prevedono attacchi mirati nello Yemen, che sarebbero contrari alla risoluzione della Nazioni Unite, ma garantiscono la possibilità di esercitare il diritto di difesa a protezione delle navi. Questo è il mandato, che sarà sottoposto all’Aula del Parlamento.