di Anna Zafesova
«Ho visto Alexey». Lyudmila Navalnaya non riesce a dire subito la parola «corpo», anche se è vestita di nero e ha appena visto il cadavere di suo figlio. È una prima vittoria che ha riportato sul regime putiniano che voleva tenerlo chiuso in un obitorio non meglio precisato per almeno due settimane. Mantiene la calma, mentre con voce chiara e ferma pronuncia l’accusa più terribile per una madre: «Vogliono fare qualcosa con il corpo di mio figlio».
Navalny è morto da una settimana, ma la battaglia postuma per lui prosegue, e dopo ore di negoziati con i funzionari russi Lyudmila Ivanovna sceglie di renderla pubblica: «Hanno iniziato a minacciarmi», denuncia, e riferisce il ricatto esplicito dell’inquirente Varapaev: «Il tempo lavora contro di lei, i cadaveri si decompongono».
Probabilmente i poliziotti e magistrati di Salekhard, una delle isole dell’Arcipelago Gulag oltre il circolo polare Artico, non hanno mai letto l’Iliade, non hanno sentito parlare di Priamo, e non si rendono conto di andare ben oltre una riedizione della tragedia antica, quando minacciano di mutilare ulteriormente il corpo di Navalny. Ma anche Lyudmila Ivanovna non scende ai compromessi del sovrano di Troia. Non ha più nulla da temere, e dice di no alle pressioni per un funerale segreto, per «venire condotta davanti a una tomba fresca in fondo a un cimitero», per una sepoltura «di nascosto, senza commiati». Ivan Zhdanov, uno dei principali collaboratori del politico defunto, ha raccontato le condizioni poste dalle autorità: un cimitero periferico di Mosca, trasporto del feretro in aereo senza annunciare l’aeroporto, obitorio segreto fuori dalla capitale e esequie strettamente private. «Non sono d’accordo», è stata la risposta della madre, che chiede di dare la possibilità di un ultimo saluto anche a chi «aveva a cuore mio figlio».
Il dissidente fa paura anche da morto: Lyudmila Ivanovna riferisce che l’inquirente Varapaev non le ha nascosto di ricevere indicazioni telefoniche dal capo del Comitato d’indagine Aleksandr Bastrykin, uno dei falchi putiniani più fedeli. Intanto, intellettuali e artisti registrano videoappelli che chiedono di ridare alla madre il corpo del figlio, per mostrare pietà umana, e per rispondere a quello che la dissidente Ekaterina Shulman chiama «un importante interrogativo di civiltà, se i corpi delle vittime vanno sepolti oppure mangiati». La risposta dovrà arrivare da Putin, dopo che i navalniani gli sono venuti incontro accettando il certificato di morte «per cause naturali», che la madre ha firmato. Zhdanov precisa che la famiglia non chiede il corpo per fare ulteriori indagini, ma solo per seppellirlo, e Kira Yarmysh, la portavoce del politico, dice che Lyudmila ha visto sul corpo «segni di tentativi di rianimarlo, di un catetere o qualcosa del genere», senza entrare nei particolari. Lyudmila Navalnaya non aveva mai voluto la notorietà: la si era vista una sola volta, di sfuggita, alla manifestazione a Mosca contro l’arresto di Alexey. Non ha mai detto in pubblico cosa prova ad aver avuto due figli incarcerati dal regime (il fratello del politico, Oleg, aveva scontato più di tre anni, e ora è di nuovo ricercato). Ora, affianca come simbolo di una tragedia politica e umana la vedova Yulia. Che ieri ha risposto sdegnata alle accuse dell’ex presidente russo Dmitry Medvedev di essere «felice di avviare una carriera politica grazie alla morte del marito». Sul suo nuovo account di X, che ha già numeri da sei zeri, ha chiesto di «non difendermi da questo uomo inutile, che vi viene proposto apposta per prendersela con lui», e invita i suoi seguaci a «parlare invece della morte di Aleksey». Non sarà facile: mentre le città russe si riempiono di graffiti e scritte, i memoriali per Navalny vengono distrutti, e in Udmurtia una donna che ha ordinato una messa per la sua anima è stata denunciata dai sacerdoti alla polizia. Ma dal suo carcere siberiano, il dissidente Vladimir Kara-Murza ha lanciato l’appello a «non arrendersi alla disperazione: è esattamente quello che vogliono da noi».