Domani le elezioni locali più volte rimandate per il conflitto. Nei sondaggi nazionali Gantz doppia Netanyahu
TEL AVIV — Rimandate due volte, la prima a ottobre perché c’era appena stato l’attacco del 7 ottobre e la seconda volta a gennaio perché c’erano ancora troppi riservisti nella Striscia di Gaza e non potevano fare politica, le elezioni locali di domani sono le prime in Israele dopo l’inizio della guerra. Si vota per i sindaci, per i consigli municipali e per i consigli regionali. Il motivo dello slittamento è pratico. A gennaio l’esercito aveva fatto il conto dei riservisti candidati alle elezioni locali che erano stati richiamati alle armi, erano 2.189, e più di 600 non potevano staccarsi dalle operazioni militari. Adesso non ci sono più riservisti dentro alla Striscia di Gaza.
Le elezioni non daranno un’indicazione chiara di che cosa pensano gli elettori israeliani e di dove sta andando il Paese, dice Sergio Della Pergola, professore e saggista italiano naturalizzato israeliano, perché le regole elettorali incoraggiano molto il mimetismo politico delle liste: si presentano con simboli differenti rispetto ai loro stessi partiti, fanno alleanze a seconda delle convenienze, fanno campagna su problemi locali e finiscono per diventare «degli stranissimi intrugli trasversali». La conseguenza diretta di queste regole è che gli elettori in molti casi non capiscono fino in fondo chi stanno votando, ma votano sulla base delle proposte specifiche dei candidati. E questo vuol dire che il giorno dopo alle elezioni sarà difficile per i partiti nazionali intestarsi una vittoria politica. A Tel Aviv i due sfidanti in testa alla gara hanno lo stesso colore politico, e la sfida non è sulla differenza di partito ma generazionale: da una parte c’è Ron Huldai, sindaco eterno della città che corre per il sesto mandato e dall’altra c’è Orna Barbivai, figlia di un immigrato iracheno e di un’immigrata romena, prima generale a due stelle donna. Uno dei temi più discussi della campagna, a Tel Aviv, è il traffico.
Per capire la direzione politica del Paese, dice Della Pergola, più che le elezioni locali di domani bisogna sorvegliare il sondaggio che un cartello di giornali e notiziari commissiona ogni settimana: al momento il Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu, è dimezzato rispetto a prima dell’attacco del 7 ottobre, perché molti imputano a lui il fallimento della sicurezza. In ascesa robustissima c’è Benny Gantz, che se si andasse a votare oggi prenderebbe più del doppio dei voti di Netanyahu – e quindi più del doppio dei seggi alla Knesset perché in Israele c’è un sistema proporzionale. Gantz, dice Della Pergola, piace agli elettori del Likud che non vogliono finire troppo a destra e quindi va a pescare molti voti nel serbatoio di Netanyahu. E però c’è un rischio, perché potrebbe diventare un grande partito-parcheggio, nel quale convergono tre, quattro grandi anime in attesa di staccarsi e andare da sole per vie diverse. Se succedesse durante le elezioni alla fine, avverte il professore, ci potrebbe essere un paradosso: il partito con più voti sarebbe di nuovo quello di Netanyahu e quindi per il sistema proporzionale sarebbe lui incaricato di formare il nuovo governo israeliano.
Tra le zone dove il Likud del primo ministro potrebbe perdere molti voti, secondo i sondaggi, ci sono quelle degli sfollati, centocinquantamila israeliani che non sono tornati alle loro case perché ancora esposti al rischio guerra come a Sderot, che affaccia sulla Striscia di Gaza, e a Kyriat Shmona, al confine con il Libano. Il voto degli sfollati vale per la circoscrizione dove sono residenti di solito e non per quella dove sono finiti dopo il 7 ottobre, anche se le loro città sono evacuate e deserte. A queste elezioni però, come si è detto, la loro frustrazione contro il Likud sarà mascherata dal meccanismo delle liste.