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Forse non appartiene alla schiera dei più rinomati fotografi che hanno rappresentato il neorealismo italiano del secondo dopoguerra, ma il suo talento visivo è di grande e indubbia rilevanza, come il suo vasto archivio fotografico. Federico Garolla (1925-2012) è stato un fotografo straordinario e la mostra Gente d’Italia 1948-1968, organizzata da Marco Minuz e curata da Uliano Lucas e Tatiana Agliani al Museo nazionale di Villa Pisani, sontuosa dimora di Stra (Venezia) affrescata da Tiepolo, ne mette in evidenza tutta la grandezza.
Nato a Napoli da una famiglia nobile, Garolla si trasferisce giovanissimo in Eritrea dove svolge la sua attività di giornalista fino alla fine della guerra. Rientrato a Napoli nel 1946 scrive per i quotidiani locali; nel ’50 si sposta a Milano e inizia a collaborare con importanti riviste italiane e straniere: «National Geographic», «Oggi», «L’illustrazione italiana», «l’Europeo», «Paris Match».
Appassionato di fotografia, Garolla realizzava i suoi servizi giornalistici portando con sé la macchina, inizialmente soltanto per scatti personali. Tuttavia nel 1948, a Capri, assiste all’inaugurazione del batiscafo C3, mezzo artigianale ideato e progettato da Pietro Vassena per ricerche scientifiche che, a causa di un errore tecnico, si inabissa davanti alla Grotta azzurra. Garolla immortala quei momenti: è l’unico ad avere le immagini del sommergibile mentre affonda e per quel rullino i giornali sono pronti a pagargli una cifra spropositata che gli fa capire l’importanza, anche economica, della fotografia nell’ambito dell’informazione.
Dopo una breve pausa parigina per imparare il mestiere presso «Paris Match», vera scuola del fotogiornalismo, rientra in Italia e inizia a fotografare per i più importanti giornali italiani e stranieri. Documenta fatti di cronaca come la tragedia del «pane maledetto», l’avvelenamento di massa che nel 1951 a Pont Saint-Esprit, in Francia, uccise duecento persone; i funerali della regina Elena a Montpellier nel 1952, oltre a storie sul ritorno alla vita degli italiani dopo le ferite della guerra.
Minuz, studioso e critico di fotografia che ha sempre creduto nella grandezza del lavoro di Garolla, ci spiega: «Ho accolto l’invito del direttore dei Musei Veneti, Daniele Ferrara, a portare un’altra mostra importante che dialogasse con questi luoghi, dopo le esposizioni dedicate a Inge Morath e poi a David Seymour a Venezia. Abbiamo subito proposto un progetto fuori dagli schemi». Minuz aveva avuto modo di conoscere l’archivio Garolla in occasione della mostra su Pier Paolo Pasolini Non mi lascio commuovere dalle fotografie. «Con l’aiuto di Uliano Lucas, grande fotoreporter, e della figlia di Garolla, Isabella, che gestisce l’archivio del padre, avevamo individuato una serie di immagini realizzate nel 1956 sulla vita difficile degli abitanti nei paesi della riviera del fiume Brenta. Esattamente nei luoghi che circondano la mostra».
L’evento nasce da un progetto condiviso con la direttrice del Museo nazionale di Villa Pisani, Loretta Zega, che ha voluto installare una serie di gigantografie all’interno del vasto parco, a fare da contrappunto alle foto esposte nelle sale delle scuderie. Qui 110 scatti in bianco e nero, rigorosamente stampati dallo stesso Garolla, come conferma a «la Lettura» la figlia Isabella, rendono l’idea dello spessore artistico del fotografo napoletano che, come dice Uliano Lucas, «appartiene alla generazione del fotogiornalismo solo perché, nell’epoca in cui si espresse il suo talento, i musei, soprattutto in Italia, non prendevano in considerazione la fotografia come un’espressione artistica». Isabella ricorda la grande mostra curata da Gabriel Bauret che venne dedicata al padre nel 2009 all’Istituto italiano di cultura di Parigi: «Aveva come tema la Napoli degli anni Cinquanta ed ebbe un gran successo. Ne parlarono tanti giornali tra cui “Le Figaro”, in particolare “Image Magazine” scrisse che nel lavoro di mio padre si respira la stessa atmosfera che c’è nelle opere dei colleghi francesi Brassaï e Robert Doisneau».
La mostra di Villa Pisani si divide in tre momenti: il primo è dedicato al reportage più puro, con le contraddizioni che la gente viveva in Italia dopo la guerra; il secondo riguarda i lavori dedicati all’alta moda romana perché Garolla, spiega Minuz, «è il primo a realizzare fotografie di capi molto esclusivi spostandoli dal set fotografico dell’atelier alle strade della capitale, in location naturali immerse nella quotidianità. Una formula che non si era vista fino ad allora: l’alta moda romana cominciava a vivere un momento di grande splendore, con le sorelle Fontana, Gattinoni e Valentino». La terza sezione riguarda i ritratti di personaggi della cultura, del cinema, delle arti visive, con cui Garolla intrattenne anche rapporti di amicizia, come Giuseppe Ungaretti, Silvana Mangano, Elsa Morante. Nel 1968 Garolla conclude l’attività fotografica dedicandosi all’editoria e alla produzione di cataloghi d’arte per grandi musei oltre che alla catalogazione del suo archivio. Uno scrigno che rimane in parte ancora inesplorato e che potrebbe restituire molti altri gioielli di questo grande fotografo dallo scatto colto e raffinato.
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