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17 Giugno 2024Il personaggio
dal nostro inviatoFabrizio Roncone
La sua stanza trasformata in «war room», ha limato la bozza del documento finale
FASANO (BRINDISI) Non osano nominarla. Dicono solo: lei. Ossequiosi, spaventati, adoranti. Va bene: ma lei, adesso, che sta facendo? Allora, nel riverbero rossastro del tramonto, indicano una finestra imprecisata di Borgo Egnazia. Lei, soffiano, è nella sua camera trasformata in war room e sta finendo di limare la bozza della dichiarazione finale di questo G7 (per capirci: è il documento sul quale, evocando la parola «aborto», Emmanuel Macron ha montato il caso — meglio: il casino — che sapete).
La pratica è nelle mani dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni.
Cioè, appunto: lei.
I capelli biondi phonati come un’attrice di Hitchcock, diafana, l’altro giorno — a sorpresa, molto spiritosa — con una giacca a fiori tipo certi divani delle pensioni di Rimini anni Sessanta, di solito però dentro chicchissimi e diplomatici tailleur bianchi, dentro un’eleganza antica e distante, tanto se vuole si avvicina lei con occhiate come laser, perché lei vede tutto e sa tutto: e qui — nei vicoli surreali di questa fasulla Disneyland pugliese per ricchi sfondati trasformata in Fort Apache — ha anche deciso e controllato tutto (la sicurezza dei potenti del Pianeta e i discorsi dei loro incontri bilaterali, custode dei dossier più complessi, come quello sulla guerra in Ucraina). Direttrice generale del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (fu Mario Draghi a nominarla numero uno dei nostri servizi segreti) e super «sherpa» di fiducia, per questo summit, della premier Giorgia Meloni. Del resto, così entriamo meglio nel ritratto, nessuno a sinistra può considerarla di destra e nessuno a destra può considerarla di sinistra. L’ambasciatrice è un’autentica servitrice dello Stato (con le sue ambizioni: considerato che, tra l’altro, come vedremo, è anche un essere umano).
Usciti molti articoli, molti identikit sul personaggio in questione. Si apprendono particolari vagamente esotici: dopo aver giocato da ragazza a tennis, attualmente ha una passioncella per il tiro con l’arco, a dimostrazione che esiste qualcuno, oltre agli olimpionici, capace di praticare questo sport. Però le piace anche il biliardino: una volta, raccontano, sotto la tenda di una nostra base militare in Afghanistan, dov’era finita in missione, la videro battersi contro un ufficiale lanciando urla belluine. Molti identikit di sapore omaggiante: qualcuno sostiene che, in certe foto, somigli a Grace Kelly (vabbé). Altri, come in un romanzo: quando si ritira nella sua adorata campagna toscana adora preparare marmellate. Spesso si sottolinea la perfetta conoscenza di cinque lingue (ma fa l’ambasciatrice, non ha mica una tabaccheria a Maccarese). Poi un dettaglio di suggestione sperimentata: la Belloni ha studiato al Massimo, leggendario liceo romano gestito dai padri gesuiti e frequentato, in epoche diverse, anche da Luca Cordero di Montezemolo, dall’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, da Francesco Rutelli e da Mario Draghi (però se fate battute, siete fuori strada: a determinati livelli, di solito, su certe scelte si procede tenendo in considerazione solo l’esperienza, l’affidabilità totale, la bravura assoluta).
Sicurezza
Ha controllato tutto, la sicurezza dei potenti del pianeta e i discorsi dei loro bilaterali
Lei, la nostra ambasciatrice, ha un curriculum ampio e solido e, per darvelo tutto, servirebbero un paio di pagine. Procediamo per flash: un inizio di carriera a Vienna, poi Bratislava, quindi la nomina a capo dell’Ufficio per i Paesi dell’Europa centro orientale. Dal vertice dell’unità di crisi della Farnesina (affrontando e gestendo i sequestri degli italiani in Iraq e lo tsunami nell’Oceano indiano), a capo di gabinetto di Paolo Gentiloni (quando Gentiloni fu ministro degli Esteri), per tornare alla Farnesina ed essere nominata segretario generale. Insomma è sempre stata profondamente immersa in una dimensione di altissimo rango, fuori e anche dentro casa: è vedova di Giorgio Giacomelli, grande ambasciatore che arrivò ad essere, negli anni Novanta, vice-segretario generale dell’Onu.
Una così è abbastanza fisiologico che finisca, periodicamente, nel frullatore mediatico. In alcuni retroscena la volevano ai vertici di Ferrovie. Poi di Enel. Ma il suo nome gira anche in politica. Ultime voci: la Meloni potrebbe mandarla a Bruxelles (alto rappresentante per la politica estera o titolare del nascente commissariato per la Difesa). Lei sorride, non si dispiace. Come in passato. Come durante la faticosa nascita del primo governo Conte, quando l’immaginavano in una specie di «governo ponte» per andare a nuove elezioni; o come nell’inverno del 2022: eccola durante la tormentata elezione del Presidente della Repubblica, quando — prima di convergere nuovamente su Sergio Mattarella — un pomeriggio comincia a circolare il nome di Belloni, chi la vuole, chi no, e però le voci sono forti, è quasi fatta per Belloni al Quirinale, anzi è praticamente fatta, finché Matteo Renzi non si collega con La7 e, in diretta, dice più o meno: «No, scusate: però far fare il capo dello Stato al capo dei servizi segreti è una roba che nemmeno in Sudamerica…».
Sarebbe stata la prima donna.
Ma c’è tempo.