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di Massimo Gramellini
C’è un Assange negli spogliatoi della Nazionale. Sarebbe servito di più un centravanti, ma tant’è. Lo Spalletti dagli occhi di bragia, caratterialmente quanto di più simile a Cacciari proponga il mondo del calcio, si è spinto un passo oltre Gesù: non ha detto che qualcuno dei suoi lo tradirà, ma che l’ha già fatto. Lo spione, la talpa, ovvero la fonte benedetta per i cronisti tenuti a distanza come dei paria — lontani i tempi in cui potevamo intervistare Vialli e Baggio tra i fumi delle docce — avrebbe osato spifferare il segreto peggio custodito dell’umanità: che il c.t. condivide le sue scelte con i senatori della squadra. Esattamente come tutti i c.t. che lo hanno preceduto (chiedere a Rivera, rimasto fuori dalla finale del 1970 per volontà dei compagni, nonostante il mitologico gol alla Germania).
A Spalletti la rivelazione non è andata giù: ci ha visto un attentato alla sua autorità, con ciò commettendo due passi falsi. Il primo è che adesso tutti si chiedono se sia davvero lui a fare la formazione (però chi altri potrebbe volere Di Lorenzo titolare?). Il secondo è di avere aperto una caccia alle streghe col rischio di spaccare lo spogliatoio, anziché ricompattarlo come Bearzot e Lippi, che il nemico ebbero cura di sceglierlo sempre all’esterno: i dirigenti, gli arbitri, il mondo intero e, in mancanza di meglio, i giornalisti. Senza contare che uno aveva in squadra Conti-Tardelli-Rossi e l’altro De Rossi-Pirlo-Totti. O Del Piero, a scelta. Altro che Assange.